Con piacere ed interesse pubblico sul blog questo interessante studio di ANGELA VARANELLI sulla Pala Marmorea di Legros in occasione del suo restauro.
Pierre Legros
(Parigi, 1666 – Roma, 1719)
San Francesco di Paola prega la Beata Vergine dei Miracoli, 1716 circa
pala marmorea, seconda cappella a destra, San Giacomo in
Augusta
L'esecuzione
della grande pala marmorea è dovuta alla ferma volontà dell'ordine dei Frati
Minimi (che in quel periodo amministravano la chiesa e l'arcispedale) di
dedicare un altare a San Francesco di Paola, fondatore dell'ordine. La scelta
fu dettata dalla valenza artistica di Legros che a Roma primeggiava come
scultore. L'intero altare venne predisposto dall'artista con decori e stucchi
(gli angeli sul timpano dell'altare, i cherubini lungo i muri laterali della
cappella, e il trionfo dello Spirito Santo nella volta), mentre al Passeri
venne affidata l'esecuzione pittorica delle tele laterali con due miracoli del
santo[1].
Il rilievo rappresenta San Francesco
di Paola genuflesso su una nuvola rialzata dal pavimento, in atto di adorare la
Madonna col Bambino, rappresentati in un affresco sorretto da quattro
bellissimi angeli; il Santo, rivolgendosi alla Beata Vergine, pare voglia
sollecitare la guarigione di un gruppo di malati, che, a loro volta, in
atteggiamento di assoluta devozione e speranza, si appellano al Santo. Le
figure protagoniste della scena vengono sapientemente scolpite ad altorilievo
da Legros, che, attraverso un moto a spirale, riesce a condurre l'occhio
dell'osservatore dai lati più esterni dell'altare al centro della composizione,
ovvero all'interno di un'architettura a bassissimo rilievo dove un infermiere,
nell'atto di accudire un infermo, soffia sulla minestra che si appresta a
dargli; un gesto umanissimo che si dissocia dal miracolo che si sta svolgendo
poco più avanti, ma che riporta l'attenzione dell'osservatore al luogo in cui
si trova, e cioè all'interno di un complesso ospedialiero al tempo tra i più
importanti di Roma.
Un bassorilievo in terracotta
conservato al Museo Nazionale di Palazzo Venezia costituisce un primo studio
per la realizzazione della pala marmorea. Qui Legros sta ancora elaborando le
varie parti della composizione: il santo, inginocchiato al suolo in uno spazio
all'aperto dinanzi all'ingresso dell'ospedale di San Giacomo, osserva due
angioletti con un cartiglio ed è sovrastato da una gloria di angeli che
sostengono un riquadro con l'immagine della Madonna. Sullo sfondo, un monaco
assiste all'evento dall'arcata di un portico[2].
Nall'opera finita, tuttavia, la scena si sposta all'interno di uno spazio
architettonico e si arricchisce di numerosi personaggi; scompaiono anche gli
angioletti che recano il cartiglio con la scritta CHARITAS e un bastone,
attributi identificativi del santo calabrese. La terracotta di Legros rispetto
all'opera marmorea definitiva, elegante e perfetta nella modellatura, rivela i
caratteri tipici del sensitivo Legros: il pittoricismo di tradizione
berniniana, e la delicata vibrazione della superficie.
Nell'attuazione della pala l'impresa
più ardua fu quella di inserire all'interno della composizione l'affresco della
Vergine col Bambino eseguito nel XV secolo; staccato nel 1525 dalla sua
originale collocazione "sotto un arco vicino alle mura di Roma verso il
Tevere", venne collocato inizialmente in una cappellina costruita in
piazza del Popolo, che poi alla fine del Seicento, riedificata come chiesa,
prese il titolo di Santa Maria dei Miracoli; ma già nel 1585 per interessamento
di san Camillo de' Lellis l'affresco era stato trasferito nell'ospedale di San
Giacomo e successivamente della chiesa del nosocomio. Il dipinto fu oggetto di
grande devozione popolare per un episodio miracoloso narrato dal Panciroli
(1625) relativo al recupero di un bambino caduto inavvertitamente nel Tevere,
mentre la madre era intenta alla raccolta della legna lungo il greto del fiume.
Il bimbo fu salvato da una figura miracolosa vestita di bianco che lo sorresse
impedendogli di annegare.
La miracolosa immagine e il grande
taumaturgo europeo del XV secolo esprimono la forza miracolosa della Madonna
come auspicio di salvezza per tutti gli ammalati curati nel nosocomio. Il Santo
calabrese fece della sua vita l'espressione della salvezza degli indigenti e
degli ammalati. Francesco, infatti, nato a Paola nel 1416 e morto a
Plessis-les-Tours nel 1507, già all'età di dodici anni, quando i genitori lo
condussero al convento dei frati minori di San Francesco ad Argentano, aveva
dato prova delle sue doti eccezionali, doti che lo portarono a viaggiare
nell'intento di comprendere il progetto divino affidatogli. Nell'eremo di Monte
Luco, rimase colpito dall'austerità dei frati che vi abitavano dei quali adottò
la veste e a Montecassino comprese la sua vocazione. Trascorse sei anni in una
grotta in solitudine, fondò la Congregazione degli Eremiti di fra' Francesco,
poi chiamato Ordine dei Frati Minimi, riconosciuti ufficialmente da papa Sisto
IV come ordine mendicante. Lo stemma dell'ordine è uno scudo con impresso il
motto CHARITAS, messaggio che Francesco ricevette dall'arcangelo
Michele. Recatosi in Francia per richiesta del re Luigi XI, nel 1482 divenne
consigliere spirituale della regina Anna e di Carlo VIII e, contemporaneamente,
riuscì a diffondere il suo ordine in Francia. Fu proclamato santo da papa Leone
X nel 1519[3].
Com'è stato già accennato, la scelta
di Legros per l'esecuzione della maestosa pala d'altare, non è stata casuale.
Sicuramente nel primo decennio del Settecento è stato lo scultore più ricercato
e impegnato di Roma (nonchè il più giovane), ma è stata soprattutto la sua
straordinaria sensibilità artistica ad aver convinto prima i gesuiti ed Andrea
Pozzo, poi i frati Minimi, a chiamarlo alla realizzazione di opere tanto
importanti[4].
Il lavoro di Legros a Roma pone le basi di una nuova arte religiosa, dove
l'esaltazione e l'abbondante teatralità dell'arte scultorea tradizionalemente
esistente da Bernini in poi (che spesso oltrepassava i limiti della decenza e
dell'ortodossia) si attenua in forme più aggraziate e seducenti, in figure la
cui veridicità rassicura lo spettatore attraverso una maniera, si potrebbe
dire, che riporta al grande classicismo romano. Legros riesce a creare
un'atmosfera affascinante che sorprende ma non abbandona l'aspetto celebrativo,
reso perfettamente con le estasi interiorizzate dei suoi personaggi. Una delle
sue caratteristiche più importanti, ad esempio, è la lavorazione dei panneggi;
da Bernini prende il gusto per le vesti "tormentate", ma le elabora
entro una logica che si rifà alla più sobria formazione francese[5].
Gli aspetti artistici della sua
arte, dunque, ben si legavano alla spiritualità di questi ordini religiosi che
generalmente preferivano un'elaborazione dei soggetti sacri che si avvicinasse
più ad un insegnamento religioso che ad una scena teatrale. Tuttavia, nella
pala d'altare con san Francesco di Paola, Legros conferma le caratteristiche
proprie della sua maniera ma non rinuncia ad alcuni effetti scenici per
coinvolgere emotivamente i fedeli, dilatando, ad esempio, i margini della
composizione oltre i limiti imposti dalla cornice.
[1]Visioni
ed Estasi. Capolavori dell'arte europea tra Seicento e Settecento, catalogo
della mostra a cura di G. Morello, ottobre 2003 – genneio 2004, Roma 2004, pag.
211.
[3] A. Sergej, F.
Buranelli, M. Guderzo, Il Meraviglioso e la Gloria. Grandi maestri del
Seicento a Roma, Milano 2007, pag. 245.
[4]M.
Conforti, Pierre Legros and the Rôle of Sculptors as Designers in late
Baroque Rome, in «The Burlington Magazine», CXIX, 1977, pagg. 557-560.
[5]P.
Pascal, Pierre Legros, sculpteur romain, in «Gazette des Beaux-Arts»,
CXXXV, 2000, pagg. 189-214.