Questo articolo è stato dalla nostra amica FRANCESCA DI CASTRO su VOCE ROMANA, Rivista bimestrale di Cultura, Poesia, Dialetto, Arte e Tradizione Popolare, sul numero 23 settembre-orrobre 2013, Fondato da GIORGIO CARPANETO, Direttore SANDRO DI BARI.
Il miracolo
della Madonna dei Miracoli
di
Francesca
Di Castro
Era
un’immagine sacra che ornava le mura di Roma lì dove si affacciavano sulle
acque del Tevere all’altezza di via della Penna, un’immagine della Vergine che
teneramente stringeva una manina del Bambino Gesù contro il suo cuore. Con la sua presenza e il suo perenne lumino
acceso proteggeva la gente semplice che alla fine del Quattrocento frequentava
il Fiume per le tante attività ad esso connesse. Qui era il porto della legna,
qui transitavano i barconi carichi di vino, d’olio e di derrate alimentari
provenienti dalla Sabina e diretti al porto di Ripetta lì vicino, qui si riunivano
le lavandaie, come le prostitute, i pellegrini che provenivano dal Nord come
gli artisti e gli avventurieri.
Qui
nell’ottobre del 1525, un bambino di sette anni cadde nel Fiume e la corrente
lo portò via. La madre disperata rivolse lo sguardo all’immagine sacra e
qualcuno riuscì a salvare il bambino. La notizia del miracolo si diffuse
immediatamente in città e l’immagine sacra cominciò ad essere oggetto di culto.
Per proteggerla dalle intemperie e dalla furia della piena del Tevere, in
quello stesso anno fu costruita una cappella addossata alle stesse mura, che
affacciava sulla “strada che va da la Penna a la Madona del Popolo dietro le
mura”, come indica la pianta cinquecentesca tratta dal “Libro delle Piante
delle case libere di S. Giacomo degli Incurabili”, costudita presso l’Archivio
di Stato di Roma.
La
cappellina è riportata già nella pianta del Bufalini (1551) e in quella del
Tempesta (1593) che la indica come S. Maria Mirac(ulorum). In seguito verrà
affidata da Clemente VII all’Ospedale di S. Giacomo degli Incurabili e presso
la cappellina troverà alloggio S. Camillo de Lellis che in quegli anni si
prodigava nelle cure degli infermi e dei malati di “mal gallico” nell’ospedale.
Fu lui che ottenne nel 1585 che l’immagine miracolosa fosse trasferita
all’interno del nosocomio da dove verrà nuovamente spostata nel 1598 per
trovare definitiva e degna dimora nella costruenda chiesa di S. Giacomo in
Augusta, voluta dal Cardinale Antonio Maria Salviati che già aveva provveduto
all’intera ristrutturazione dell’ospedale. Quello stesso Cardinale – che morirà
pochi mesi prima della consacrazione della chiesa nel 1602 – che con grande
spirito munifico e lungimiranza lasciò per volontà testamentaria molte sue
proprietà all’Arciconfraternita di S. Giacomo per permetterne nel tempo l’autosufficienza,
grazie ad un’amministrazione oculata e severa e a un rigido sistema di rinvestimenti
immediati dei profitti. E per assicurare un futuro “infinito” alla sua opera,
vincolò la donazione alla clausula “che tutti i beni e i diritti da lui stesso
donati (…) in alcun modo possano essere venduti, ceduti, ipotecati (…); né possano
a chiunque altro essere trasferiti, dati in enfiteusi o affittati, anche con il
pretesto di qualsiasi necessità o utilità.”.
Dopo
406 anni – come sappiamo – il 31 ottobre 2008, l’allora Presidente della
Regione Marrazzo chiuse con intervento della forza pubblica un ospedale
funzionale, attivissimo e d’importanza strategica che era stato al servizio
della collettività e della città di Roma per 669 anni consecutivi.
Sono
passati cinque anni dalla sua chiusura e l’ospedale S. Giacomo continua a
restare chiuso e inutilizzato, in abbandono e in inesorabile degrado. Cui prodest?
Servirebbe
davvero un miracolo della Madonna dei Miracoli per vedere tornare alla vita la
storica struttura. Nel frattempo tuttavia la sacra immagine in realtà un piccolo
miracolo l’ha davvero fatto: attraverso l’opera costante e ammirevole di Don
Giuseppe Trappolini, parroco di San Giacomo. Don Giuseppe, addolorato per lo
stato in cui versava l’immagine e tutta la cappella arricchita dall’altorilievo
marmoreo di Pierre Le Gros (1666-1719) e ornata dalle tele di Giuseppe Passeri
(1654-1714), dopo vana ricerca di sponsor
per il restauro, con coraggio si è impegnato in prima persona “confidando nella
divina Provvidenza” e “per diffondere l’idea che insieme possiamo dare un
segno, anche se piccolo, di 'rinascita', anche spirituale, con il ridare
bellezza a quanto i nostri predecessori ci hanno lasciato”.
Il
suo entusiasmo ha trovato l’appoggio della Soprintendente dott.a Adriana Capriotti
che , con il valido aiuto di Lia….. e Daniela Caporali, ha intrapreso il
restauro dell’opera.
Ormai
i lavori volgono al termine, la pala marmorea e l’immagine sacra sono tornati
all’antico splendore, e Don Giuseppe aggiorna puntualmente le donazioni e le
offerte raccolte scrivendole in rosso sia sul suo sito sia sotto l’immagine
sacra.
Mancano
ancora 8.000 euro al traguardo dei 15.000 euro del lavoro eseguito, e la
Provvidenza vi sta mettendo rimedio. Ma il vero miracolo è come, in risposta ai
tanti signori della Regione Lazio che hanno sperperato milioni e milioni di
euro fino a costringere alla chiusura uno dei più importanti e dei più
efficienti ospedali di Roma, in risposta a una gestione degenerata e assurda del
denaro e del Bene pubblico, un semplice parroco, un uomo gentile e coerente,
s’impegna, s’appassiona, lotta e riesce a proteggere e a mettere in salvo – non
per sé ma per il futuro dell’umanità – un piccolo, prezioso e unico bene della
Chiesa, sicuramente sotto la protezione della Madonna dei Miracoli e con il
sorriso benevolo ma severo del Cardinal Salviati.