sabato 30 aprile 2011

RICORDO DI LUI...........




Giovanni Paolo II sarà proclamato Beato. Tante sono le testimonianze che, in questi giorni, sto ascoltando in televisione sul suo pontificato.
Anche io ne voglio dare qualcuna.
Mi sento veramente privilegiato nell’aver avuto la possibilità, con lui, di tanti incontri che per me si sono rivelati esperienze che hanno toccato la mia vita.
Il suo pontificato ha coinciso con i miei primi 25 anni di sacerdozio. Nel giorno del mio giubileo sacerdotale, il 19 aprile 2005, proprio mentre stavo celebrando la Messa di Ringraziamento al Signore, è stato eletto Benedetto XVI.
Quando fu eletto, Karol Wojtyla, io ero chierico e frequentavo l’ultimo anno di teologia fondamentale presso il Seminario Romano Maggiore.
Essendo l’unico seminarista romano del quinto anno, venni, per ‘forza di cose’, scelto come un rappresentante dei seminaristi per fare obbedienza nel giorno in cui il Papa prese possesso della Diocesi di Roma, nella Cattedrale di San Giovanni in Laterano.
Certo che ero molto emozionato e nel momento in cui, insieme ad un altro seminarista, ci inginocchiammo avanti a lui, seduto sul bellissimo trono marmoreo dell’abside della Chiesa, mi sentii abbracciato ed incoraggiato dal Santo Padre. Infatti con un gesto paterno, mise le sue mani sulle nostre spalle e iniziò un brevissimo ma intenso dialogo con un saluto ed ‘a rivederci a presto’.
Pochi mesi dopo, in occasione della festa della Madonna della Fiducia, patrona del Seminario, venne a farci visita, e mangiò con i seminaristi. Una tradizione che conservò nell’arco di tutto il suo pontificato. Il Papa come vescovo di Roma, amava curare, seguire, incoraggiare i suoi seminaristi.
Lo stesso anno, io ancora diacono, venni destinato nel servizio pastorale, come ‘assistente’ presso il Seminario Romano Minore.
Erano pochi i ragazzi studenti: dodici. Eppure in occasione del Natale, volle riceverci di prima Mattina presso il suo appartamento. Celebrare la messa con noi e fare colazione insieme a noi.
Era la prima volta che entravo nello studio e negli appartamenti del Papa. Non abbiamo avuto nessun imbarazzo. Ci ha fatto trovare a nostro agio. Ben presto ha voluto ricambiare la visita e per la prima (ed ultima volta, credo) un Papa venne a Visitare il Seminario Minore: il 24 maggio 1980
Era sempre molto curioso di sapere, conoscere, di vedere. Il suo rapporto umano era deciso, affettuoso e delicato.
Ho notato anche una certa timidezza. Forse è stata una mia impressione; ma nel momento in cui i tuoi occhi si incontravano con i suoi, allora ti sentivi molto rinfrancato: nella situazione interiore di colui che sente di aver detto tutto quello che avrebbe voluto dire e ascoltato tutto quello che avrebbe voluto ascoltare.
Sono diventato viceparroco a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, nella periferia romana, territorio che è stato la radice delle mie origini umane e sociali.
Un giorno dal Cardinal Vicario Ugo Poletti, il parroco ricevette una telefonata con l’annuncio di una bella sorpresa: la visita Pastorale del Papa.
Il Papa era solito invitare a pranzo i Sacerdoti della Parrocchia che avrebbe visitato.
E fu la prima volta che mangiavo a casa del Papa, nella sua, non grande, ma decorosa sala da pranzo attigua agli appartamenti papali.
Venne lui stesso ad accoglierci e ci accompagnò nella sua cappella privata e lì sostammo per un momento di preghiera. Poi un semplice pranzo durante il quale ci chiedeva della Parrocchia, dei suoi problemi, della sua vita quotidiana: si interessava personalmente a tutti gli aspetti. Un pranzo cordiale, ma di lavoro.
Erano i primi anni di pontificato. Il Papa era giovane e le sue visite pastorali duravano a lungo.
Arrivò nel primo pomeriggio, verso le 16. Era il 15 marzo 1987. Durante le visite incontrava personalmente tutte le componenti della vita Parrocchiale: Consiglio Pastorale, Bambini, Giovani, Anziani ed ammalati. E anche la famiglia dei sacerdoti.
Non posso dimenticare la commozione di mia mamma e soprattutto di mio papà che era stato appena laringectomizzato e viveva nella sofferenza. Non posso dimenticare la sua carezza, il suo incoraggiamento nel momento iniziale della sua lunga croce. Quella stessa croce che Giovanni Paolo porterà su di se con gioia, forza e decisione fino agli ultimi istanti della Vita.
Poi la celebrazione della Messa.
Nei giorni precedenti la visita, avevamo incontrato il Cerimoniere Pontificio, Mons. Marini che, tra l’altro, iniziò il suo servizio proprio in quella occasione. Gli dissi che la Parrocchia era giovane e che eravamo soliti accompagnare i canti con la tastiera, chitarra elettrica, basso e batteria. Mi disse espressamente: ‘A me non piace: ma al Papa si! Fate come siete soliti fare…. Ma mi raccomando: con moderazione’. E così abbiamo fatto.
La Messa, gli incontri furono una gran festa che coinvolsero il Papa che con noi si mise a cantare canti da lui conosciuti.
La Messa si celebrò all’aperto: faceva molto freddo.
Incontrò poi i giovani della Parrocchia: Non esitò a rispondere alle domande che erano diventate prassi da porre al Papa durante l’incontro con loro. Non evitò neppure che gli facessero una domanda imbarazzante: Che cosa avrebbe raccontato ai giovani Cileni schiacciati dalla dittatura di Pinochet che avrebbe incontrato da lì a qualche giorno. Non si sbilanciò ma concluse dicendo: porterò il vostro abbraccio e la vostra preghiera.
Concluse la visita pastorale dopo aver sostato, rinfrancandosi, nel nostro appartamento. Erano quasi le 21.00.
Ero stato quasi cinque ore con il Papa.
Ebbene questa stessa esperienza, in tempi e modi conformi alla situazione, l’ho ripetuta per altre due volte.
Infatti nel 1990 per poco più di un anno sono stato Vice parroco alla Parrocchia Gesù Divin Maestro alla Pineta Sacchetti e lì ha fatto la visita Pastorale Domenica, 15 dicembre 1991
E da ultimo essendo Parroco a Dragoncello, ho accolto il papa nella mia Parrocchia del Santo Cirillo e Metodio Domenica, 15 febbraio 1998
Le visite sono state certamente più brevi. Il papa man mano negli anni era sempre più ammalato: ma il suo spirito, la sua cordialità, il suo affetto non è mai mutato.
I suoi occhi, i suoi profondi occhi, esprimevano tutto quanto avrebbe voluto dire ed ascoltare.
Potrei scrivere a testimonianza ancora molto: ma non posso e non voglio ripetermi se non ribadire che sono stato privilegiato e per me questa è stata una grazia del Signore.
Ora sotto la sua protezione voglio affidare questa Parrocchia di San Giacomo in Augusta cui sono stato affidato, perché anche in questa situazione c’è qualcosa che mi lega a lui: una Data!
Il mio insediamento solenne ed inizio di attività in questa Parrocchia è stato il 16 ottobre: la data della sua elezione a Pontefice.
Beato Giovanni Paolo II, proteggici.

Don Giuseppe

domenica 24 aprile 2011

MA QUANDO RISPONDI?


venerdì 11 marzo 2011 insieme alla pubblicazione di questa lettera aperta, ho inviato la stessa alla mail che il sito del comune indica come 'del Sindaco' e poi tramite suoi collaboratori ho cercato di farla pervenire a lui. ( chi non l'avesse letta può cliccare qui) Ma a tutt'oggi, giorno di Pasqua.... neppure un minimo accenno, non dico di risposta, forse si pretende troppo, ma neanche di avvenuta recezione.

Bhé forse ha ragione... ci sono tanti e gravi problemi a Roma che richiedono l'impegno di tutte le risorse ed attenzione.

Ma qui la situazione non è cambiata di nulla: confusione, orchestre e bazar........



Uno scorcio nel giorno di Pasqua tra le due Chiese, di san Giacomo e Gesù e Maria.


E se ti sei perso qualche teatrino, puoi cliccare qui......
Ma anche qui......
E pure qui...

martedì 19 aprile 2011

19 APRILE


Oggi è il sesto anniversario della elezione di Benedetto XVI alla cattedra di Pietro.
Ma nel mio piccolo è una grande festa anche per me.
Sono 31 anni che sono sacerdote: voglio ricordare cosa scrissero per me Papà e Mamma per quella grande Circostanza della mia vita:


E’ difficile oggi essere preti veri.
E’ anche difficile essere genitori di un prete: non riusciamo ad esprimere con parole tutto quello che il nostro cuore contiene; non sappiamo neppure ciò che sia giusto per lui.
Il nostro cuore è trepidante; specialmente per noi che lo abbiamo nesso al mondo, lo abbiamo visto bambino, fanciullo, adolescente ed ora uomo.
Ma il Signore ce lo ha voluto donare in un modo del tutto particolare: ‘Prete’.
E’ innanzitutto una gioia, perché il Signore ha voluto scegliere proprio lui.
Sappiamo che oggi sono veramente pochi coloro che decidono di seguire il Signore in modo così completo.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di preti e di preti santi.
In questo stato di cose, in questo mondo spesso si dimentica cosa sia la vera fede cristiana, che cosa voglia dire vivere il Vangelo, che cosa significhi amare gli altri.
E’ per questo che il Sacerdote ci è necessario.
Noi, papà e mamma, auguriamo a Giuseppe che sia un vero, un grande, un santo prete.
Desideriamo che compia la missione indicatagli dal signore nel modo migliore possibile.
Gli chiediamo che sia onesto, vicino a tutti, che la sua opera sia infaticabile e fruttuosa; che sia accanto agli ammalati, ai poveri, ai bisognosi, ai giovani, agli anziani e a tutte le persone che in qualsiasi momento abbiano bisogno di lui.
Gli chiediamo che sia comprensivo con tutti: credenti e non credenti.
Che la sua opera di missione sia giusta che il suo amore sia senza parti.
Ecco cosa noi desideriamo da questo nostro figlio e gli auguriamo che tutto ciò si avveri, che la sua strada di sacerdote sia sempre piena di ogni gioia, che le sue mete sperate siano sempre raggiunte.
Che viva sempre nell’amore del Signore.
Noi dal canto nostro gli saremo sempre vicini con l’amore, la stima e la preghiera.

Papà e Mamma



So che dall’alto dei cieli mi stanno guardando e stanno vicini a me.
Li sentirò accanto tra poco quando alle andrò a dire la Messa nella stessa chiesa in cui con l’imposizione delle mani del Card. Ugo Poletti sono diventato Prete e con loro e mia sorella ringrazierò la immensa misericordia del Signore


martedì 12 aprile 2011

Triduo Pasquale

(Resurrezione del Pomarancio)


Giovedì Santo: Ore 17.30 Messa in Coena Domini. Segno della lavanda dei piedi, reposizione e adorazione del Santissimo Sacramento. La Chiesa rimmarrà aperta per la preghiera fino alle 23.00 c.a.

Venerdì Santo: Ore 17.30 Celebrazione della Passione del Signore: Lettura della Passione, Preghiera universale, Adorazione e Bacio della Croce.

Sabato Santo: Ore 21,00 Inizio della solenne Veglia Pasquale: Benedizione del nuovo fuoco, Liturgia della luce; Liturgia della Parola durante la quale si ripercorre la storia della salvezza; Liturgia battesimale durante la quale Alessandro, un bambino di 9 anni ricevrà il sacramento del Battesimo, Liturgia Eucaristica. (nonci sarà dunque la Messa prefestiva delle 17.30)

Domenica di Resurrezione: Sante Messe al consueto orario festivo: 8.30; 10.30; 11,30; 17.30 e 18.30

Il Signore è veramente Risorto, rallegratevi ed esultate.

Dalle Catechesi di Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle, siamo giunti alla vigilia del Triduo Pasquale. I prossimi tre giorni vengono comunemente chiamati «santi» perché ci fanno rivivere l’evento centrale della nostra Redenzione; ci riconducono infatti al nucleo essenziale della fede cri­stiana: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Sono giorni che potremmo considerare come un unico giorno: essi costituiscono il cuore ed il fulcro dell’intero anno liturgico come pure della vita della Chiesa. Al termine dell’itinerario quaresimale, ci apprestiamo anche noi ad entrare nel clima stesso che Gesù visse allora a Gerusalemme. Vogliamo ridestare in noi la viva memo­ria delle sofferenze che il Signore ha patito per noi e prepararci a celebrare con gioia, domeni­ca prossima, «la vera Pasqua, che il Sangue di Cristo ha coperto di gloria, la Pasqua in cui la Chiesa celebra la Festa che è l’origine di tutte le feste», come dice il Prefazio per il giorno di Pasqua nel rito ambrosiano.

Il Giovedì Santo, la Chiesa fa memoria dell’Ultima Cena duran­te la quale il Signore, la vigilia della sua passione e morte, ha istituito il Sacra­mento dell’Eucaristia e quello del Sacerdozio ministeriale. In quella stessa notte Gesù ci ha lasciato il comandamento nuo­vo, « mandatum novum », il comandamen­to dell’amore fraterno. Prima di entrare nel Triduo Santo, ma già in stretto collegamento con esso, avrà luogo in ogni comu­nità diocesana, domani mattina, la Messa Crismale, durante la quale il vescovo e i sa­cerdoti del presbiterio diocesano rinnova­no le promesse dell’Ordinazione. Vengono anche benedetti gli olii per la celebrazio­ne dei Sacramenti: l’olio dei catecumeni, l’olio dei malati e il sacro crisma. È un mo­mento quanto mai importante per la vita di ogni comunità diocesana che, raccolta attorno al suo pastore, rinsalda la propria unità e la propria fedeltà a Cristo, unico Sommo ed Eterno Sacerdote. Alla sera, nella Messa in Coena Domini si fa memoria dell’Ultima Cena quando Cristo si è dato a tutti noi come nutrimento di salvezza, come farmaco di immortalità: è il mistero dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. In questo sacramento di salvez­za il Signore ha offerto e realizzato per tut­ti coloro che credono in Lui la più intima unione possibile tra la nostra e la sua vita. Col gesto umile e quanto mai espressivo della lavanda dei piedi, siamo invitati a ri­cordare quanto il Signore fece ai suoi apo­stoli: lavando i loro piedi proclamò in ma­niera concreta il primato dell’amore, a­more che si fa servizio fino al dono di se stessi, anticipando anche così il sacrificio supremo della sua vita che si consumerà il giorno dopo sul Calvario. Secondo una bella tradizione, i fedeli chiudono il Giovedì Santo con una veglia di preghiera e di adorazione eucaristica per rivivere più intimamente l’agonia di Gesù al Getsemani.

Il Venerdì Santo è la giornata che fa me­moria della passione, crocifissione e morte di Gesù. In questo giorno la liturgia della Chiesa non prevede la cele­brazione della Santa Messa, ma l’assemblea cristiana si raccoglie per meditare sul grande mistero del male e del peccato che opprimono l’umanità, per ripercorrere, al­la luce della Parola di Dio e aiutata da commoventi gesti liturgici, le sofferenze del Signore che espiano questo male. Dopo aver ascoltato il racconto della passione di Cristo, la comunità prega per tutte le necessità della Chiesa e del mondo, adora la Croce e si accosta all’Eucaristia, consu­mando le specie conservate dalla Messa in Coena Domini del giorno precedente. Come ulteriore invito a meditare sulla pas­sione e morte del Redentore e per espri­mere l’amore e la partecipazione dei fedeli alle sofferenze di Cristo, la tradizione cri­stiana ha dato vita a varie manifestazioni di pietà popolare, processioni e sacre rappresentazioni, che mirano ad imprimere sempre più profondamente nell’animo dei fedeli sentimenti di vera partecipazione al sacrificio redentivo di Cristo. Fra queste spicca la Via Crucis, pio esercizio che nel corso degli anni si è arricchito di molteplici espressioni spirituali ed artistiche le­gate alla sensibilità delle diverse culture. Sono così sorti in molti Paesi santuari con il nome di «Calvaria», ai quali si giunge attraverso un’erta salita che richiama il cam­mino doloroso della Passione, consentendo ai fedeli di partecipare all’ascesa del Signore verso il Monte della Croce, il Monte dell’Amore spinto fino alla fine.

Il Sabato Santo è segnato da un profondo silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. Mentre attendono il grande evento della Risurrezione, i credenti perseverano con Maria nell’attesa pregando e meditando. C’è bisogno in effetti di un giorno di silenzio, per meditare sulla realtà della vita umana, sulle forze del male e sulla grande forza del bene scaturita dalla Passione e dalla Risurrezione del Signore. Grande im­portanza viene data in questo giorno alla partecipazione al Sacramento della riconciliazione, indispensabile via per purificare il cuore e predisporsi a celebrare intimamente rinnovati la Pasqua. Almeno una volta all’anno abbiamo bisogno di que­sta purificazione interiore di questo rinnovamento di noi stessi. Questo Sabato di silenzio, di meditazione, di perdono, di riconciliazione sfocia nella Veglia Pasquale, che introduce la domenica più importante della storia, la domenica della Pasqua di Cristo. Veglia la Chiesa accanto al nuovo fuoco benedetto e medita la grande promessa, contenuta nell’Antico e nel Nuovo Testamento, della liberazione definitiva dall’antica schiavitù del peccato e della morte. Nel buio della notte viene acceso dal fuoco nuovo il cero pasquale, simbolo di Cristo che risorge glorioso. Cristo luce dell’umanità disperde le tenebre del cuore e dello spirito ed illumina ogni uomo che viene nel mondo. Accanto al cero pa­squale risuona nella Chiesa il grande annuncio pasquale: Cristo è veramente risorto, la morte non ha più alcun potere su di Lui. Con la sua morte Egli ha sconfitto il male per sempre ed ha fatto dono a tutti gli uomini della vita stessa di Dio. Per antica tradizione, durante la Veglia Pasquale, i catecumeni ricevono il Battesimo, per sottolineare la partecipazione dei cristia­ni al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Dalla splendente notte di Pasqua, la gioia, la luce e la pace di Cristo si espandono nella vita dei fedeli di ogni comunità cristiana e raggiungono ogni punto dello spazio e del tempo.

Cari fratelli e sorelle, in questi giorni singolari orientiamo decisamente la vita verso un’adesione generosa e convinta ai disegni del Padre celeste; rinnoviamo il nostro «sì» alla volontà divina come ha fatto Gesù con il sacrificio della croce. I suggestivi riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo, il silenzio ricco di preghiera del Sabato Santo e la solenne Veglia Pasquale ci offrono l’opportunità di ap­profondire il senso e il valore della nostra vocazione cristiana, che scaturisce dal Mistero Pasquale e di concretizzarla nella fedele sequela di Cristo in ogni circostanza, come ha fatto Lui, sino al dono generoso della nostra esistenza.

Far memoria dei misteri di Cristo significa anche vivere in profonda e solidale adesione all’oggi della storia, convinti che quanto celebriamo è realtà viva ed attuale. Portiamo dunque nella nostra preghiera la drammaticità di fatti e situazioni che in questi giorni affliggono tanti nostri fratelli in ogni parte del mondo. Noi sappiamo che l’odio, le divi­sioni, le violenze non hanno mai l’ultima parola negli eventi della storia. Questi giorni rianimano in noi la grande speranza: Cristo crocifisso è risorto e ha vin­to il mondo. L’amore è più forte dell’odio, ha vinto e dobbiamo associarci a questa vittoria dell’amore. Dobbiamo quindi ripartire da Cristo e lavorare in comunione con Lui per un mondo fondato sulla pace, sulla giustizia e sull’amore. In quest’impegno, che tutti ci coinvolge, lasciamoci guidare da Maria, che ha accompagnato il Figlio divino sulla via della passione e della croce e ha partecipato, con la forza della fede, all’attuarsi del suo di­segno salvifico. Con questi sentimenti, formulo fin d’ora i più cordiali auguri di lieta e santa Pasqua a tutti voi, ai vostri cari e alle vostre comunità.

Domenica delle Palme




Le Sante Messe verranno celebrate al consueto orario festivo:
sabato alle 17.30
Domenica alle 8.30; 10.30; 11.30; 17.30 e 18.30
Ad ogni celebrazione verranno benedetti i rami di ulivo che saranno distribuiti esclusivamente durante la Messa. (non saranno a disposizione al di fuori di Esse)





Salendo nostro Signore Gesù Cristo verso Gerusalemme, sei giorni prima della sua Passione, una folla numerosa, che si era adunata a Gerusalemme per celebrare la Pasqua il precetto di Mosè, gli corse incontro portando rami di palme (cfr. Gv 12,12-13) per proclamare con quel mezzo la sua vittoria, quasi si trattasse di un re terreno del popolo d’Israele.

Per un costume antico, infatti, si suole donare una palma ai vincitori. Alcuni peraltro, in quella stessa folla, spezzavano rami d’albero (cfr. Mt 21,8), soprattutto di ulivo, accadendo la cosa nei pressi del monte degli Ulivi, e li portavano dove occorreva, per stendere un tappeto sulla via del Signore che si avvicinava.
Da qui deriva l’usanza della festa di portare in mano in questo giorno, cantando, rami di palma o d’ulivo, e di denominare detta festa «Rami di palma» o «Rami d’ulivo». Non è però privo di profondo significato il fatto di portare i rami di questi alberi. L’ulivo, in effetti, che contiene nel suo frutto di che curare dolori e fatiche, rappresenta le opere di misericordia - e misericordia in greco si dice appunto "oleos".
Quanto alla palma, il suo tronco è rugoso, ma vanta al suo termine, cioè alla sua cima, una bellissima acconciatura, mostrando così che dobbiamo elevarci passando per le asprezze di questa vita fino agli splendori della patria celeste.
Ecco perché anche David, il profeta salmista, canta a proposito del giusto: "Il giusto fiorirà come palma" (Sal 91,13).
Teniamo perciò in mano i rami d’ulivo, mostrando nei nostri atti la misericordia. Prendiamo anche rami di palma, in modo da attendere, come premio della misericordia, non terrene consolazioni, ma la bellezza della patria di lassù, dove ci precede Cristo nostro Signore egli che è, secondo l’affermazione dell’Apostolo, "il termine della legge, perché sia giustificato chiunque crede" (Rm 10,4).
Non trascuriamo poi il versetto del salmo che la folla cantava, applicandolo al Signore: Osanna nell’alto dei cieli, benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna nell’alto dei cieli (cfr. Mt 21,9). La venuta del Signore nella carne fu, in effetti, causa di salvezza non solo per gli uomini sulla terra, ma anche per gli angeli in cielo, poiché, mentre gli uomini sono salvati sulla terra, il numero degli angeli, diminuito con la caduta del diavolo, è completato in cielo. "Osanna nell’alto dei cieli" significa quindi: Salvaci, tu che sei anche la salvezza nei cieli. E perché chiedevano tale salvezza con molta devozione, ripeterono quelle parole e dissero per la seconda volta: Osanna nell’alto dei cieli. Che Cristo benedetto, Signore [nostro] vi accordi dunque di pervenire a quella salvezza, lui che viene nel nome di Dio Padre, con il quale vive e regna, Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

venerdì 8 aprile 2011

COME HAI FATTO A SOPRAVVIVERE ?

(Don Giuseppe a tre anni)



LA GRANDE DOMANDA:

Se eri un bambino negli anni ‘50, ‘60, ’70,

COME HAI FATTO A SOPRAVVIVERE ?

1.- Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né airbag...

2.- Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una passeggiata speciale e ancora ne serbiamo il ricordo.

3.- Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con vernici a base di piombo.

4.- Non avevamo chiusure di sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle porte.

5.- Quando andavamo in bicicletta non portavamo il casco.

6.- Bevevamo l'acqua dal tubo del giardino invece che dalla bottiglia dell'acqua minerale...

7.- Trascorrevamo ore ed ore costruendoci carretti a rotelle ed i fortunati che avevano strade in discesa si lanciavano e, a metà corsa, ricordavano di non avere freni. Dopo vari scontri contro i cespugli, imparammo a risolvere il problema. Sì, noi ci scontravamo con cespugli, non con auto!

8.- Uscivamo a giocare con l'unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari... cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile .

9.- La scuola durava fino alla mezza , poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con il papà ).

10.- Ci tagliavamo , ci rompevamo un osso , perdevamo un dente, e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.

11.- Mangiavamo biscotti , pane olio e sale , pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di sovrappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare...

12.- Condividevamo una bibita in quattro... bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.

13.- Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi, televisione via cavo con 99 canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari personali, compute, chatroom su Internet ... Avevamo invece tanti AMICI.

14.- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell'amico , suonavamo il campanello o semplicemente entravamo senza bussare e lui era lì e uscivamo a giocare.

15.- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non andavano dallo psicologo per il trauma

16.- Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicologo, dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né d’iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno.

17.- Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità ... e imparavamo a gestirli.

La grande domanda allora è questa:

Come abbiamo fatto a sopravvivere ? ed a crescere e diventare grandi ? .

martedì 5 aprile 2011

Teatrino Domenicale tra le due Chiese






Proprio il posto ideale per un teatrino.... che a veder dalle monetine rende :))))



Bande in Via del Corso

Con tutto il rispetto per i 'Latini'...... ma forse per l'uscita della 'Madonna di Fatima', dalla Chiese (presa in prestito) avrebbero potuto scegliere una musica migliore no....?????





venerdì 1 aprile 2011

Una Comunità religiosa si prende cura ed assiste il proprio Parroco - Chiesa di Gesù e Maria e Gli Agostiniani Scalzi



Certamente da quando sono diventato parroco di San Giacomo non ho avuto vita semplice per ciò che le vie del Signore, ‘che sono infinite’, mi hanno riservato. La morte, prima della mamma e poi del papà, nel breve periodo di nove mesi, hanno toccato il mio cuore e la mia esperienza umana. Poi, tutte le difficoltà abitative legate alla chiusura dell’ospedale San Giacomo hanno certamente reso instabile e precaria la sicurezza della residenza.

E da oltre un anno, come, chi pratica la parrocchia, sa bene, sono subentrate le difficoltà di salute legate a un doppio delicato intervento chirurgico ai piedi, che hanno ridotto le mie possibilità di ‘servizio pastorale’ relegandomi per mesi e mesi su di una sedia a rotelle.

Devo ringraziare tutti i parrocchiani che mi sono stati vicini con l’affetto e la preghiera; don Stefano, don Tonino e i catechisti per la loro disponibilità e presenza; Guglielmo, il volontario che da anni dona il suo tempo per i bisogni della nostra parrocchia e che discretamente e nel silenzio è a servizio di tutti.

Ma voglio qui, sul blog, ringraziare pubblicamente la Comunità degli Agostiniani Scalzi del Covento Gesù e Maria.

Da quando sono venuto i nostri rapporti sono sempre stati ottimi a tal punto da richiedere ed ottenere come Vicario cooperatore, un membro della comunità: Padre Zè. Abbiamo collaborato e celebrato i momenti liturgici più importanti dell’anno insieme dando visibilmente testimonianza di ‘Comunità Parrocchiale’.

In questo difficile periodo, la comunità agostiniana, mi ha permesso di ‘fare il parroco’ cercando di venirmi incontro a tutte le difficoltà. I Religiosi sono stati presenti nei momenti in cui, operato, dovevo stare in ospedale o assoluto riposo. Mi hanno aiutato a gestire materialmente tutti gli oneri riguardanti l’edificio: l’apertura, la chiusura la sorveglianza, la pulizia della Chiesa e la sistemazione di ogni cosa. Mi hanno aiutato nella cura spirituale delle anime e nella celebrazione dei sacramenti. Mi hanno portato ogni giorno da mangiare. Tutti nella comunità si sono adoperati per me. Dal superiore all’ultimo arrivato dei novizi. Tutti si sono interessati a me dal Provinciale al Superiore della casa che, venendo diverse volte a trovarmi, mi hanno sempre mostrato la loro disponibilità per qualunque cosa mi fosse servita.

Più di ogni altro mi sento di ringraziare Padre Zè: con la sua fraterna premura mi ha dato sempre tranquillità. Nei piccoli e grandi servizi di ogni giorno, dall’accompagnarmi in carrozzella sull’altare ad aiutarmi ad indossare i paramenti, dall’aiutarmi a celebrare la Messa a raccogliere la spazzatura nella mia camera ha sempre donato con generosità e serenità e questo per me è stato molto importante nella mia vita di ‘Sacerdote’. E’ stato ed è molto di più di vicario cooperatore. Un vero Fratello in Cristo.

Tutto questo per me è stata dimostrazione della ‘Bontà misericordiosa del Signore’.

Per ciò, ho voluto condividere questo grande dono.

Don Giuseppe

GLI AGOSTINIANI SCALZI

ORIGINE

Gli Agostiniani Scalzi, idealmente e spiritualmente si collegano al grande Agostino, Vescovo d'Ippona. Metafisico e retore e poi, convertito, grande santo e strenuo difensore della chiesa e quindi di Cristo, ebbe il senso della Comunità sia come dono, sia come strumento ideale per servire l'uomo fatto ad "immagine" di Dio. In Agostino, l'essere Comunità, significava condividere fede e speranza, difficoltà e preghiera, servizio e amore. Nella sua Comunità ogni uomo può essere certo di non vivere solo, ma di avere Cristo come capo e fratello: unità e amore di un popolo in cammino.

Giuridicamente, gli Agostiniani Scalzi hanno avuto inizio in un momento in cui la situazione storica denunciava difficoltà nella vita religiosa e comunitaria.

Nei grandi Ordini c'era crisi e problemi di identità; quasi una scomoda verità. Nello stesso tempo un grande desiderio di trasparenza interiore reclutava uomini di dio decisi al vambiamento per una maggiore radicalità della scelta consacrata. Sono gli anni del dopo concilio di Trento, anni di grandi trasformazioni e di giustificate perplessità spirituali. Tutto sembrava diffile, ma anche disponibiltà ad una maggiore verifica del comportamento in seno alle comunità religiose che, fondamentalmente, avevano percepito la gravità del problema.

Il "momento" giuridico o l'occasione della nascita degli Agostiniani Scalzi fu il 100° Capitolo Generale dell'Ordine Agostiniano iniziato a Roma nel Convento di S. Agostino, il 7 maggio 1592. Tra i vari problemi animati in seno all'Assemblea Capitolare si propose, con il decreto "Et quoniam satis", di dara spazio a quanti, presi dal desiderio di una vita più penitente e di preghiera, e contro lo sbandamento della vita comunitaria e religiosa, volessero dare inizio ad una "Riforma", quasi un ritorno alla origini, capace di fare "rifiorire l'Ordine per santità di vita e opere". tale decreto, emanato il 19 maggio 1592, avrebbe dovuto coinvolgere, nel suo cammino, tutto l'Ordine, a cominciare dallo stesso Convento di S. Agostino, sede del Capitolo Generale.

Anche se i fatti, poi, costituirono una realtà che andò al di là delle prospettive stesse del Capitolo, a principio, la Riforma fu un movimento all'interno dell'Ordine stesso.

Iddio, però, si serve di una storia qualunque per fare la "sua" storia. Sono le certezze di Dio, e nessuno al mondo può impedirle. bisogna arrendersi ai "suoi" segnali che, spesso, offrono strade diverse per realizzare il suo piano, l'unico ad aver ragione su tutto.

LA CHIESA DI GESU’ E MARIA

Le informazioni sono prese da Wilkipedia

La chiesa occupa parte di un terreno, oggi compreso tra le vie del Corso, di Gesù e Maria, del Babuino e di San Giacomo, su cui, agli inizi del XVII secolo sorgeva una villa con giardino di proprietà di Antonio Orsini, nipote del cardinale Flavio Orsini. Il terreno ed i suoi fabbricati furono acquistati dagli Agostiniani scalzi nel 1615, per costruirvi la loro nuova sede romana e la casa per la formazione dei seminaristi

La chiesa fu costruita successivamente all’acquisto, in due epoche diverse; nel frattempo, funzionava una piccola cappella dedicata a sant'Antonio abate, che affacciava su via del Babuino (in corrispondenza dell’attuale chiesa anglicana di All Saints) e che fu in seguito distrutta. La costruzione iniziò con la posa della prima pietra il 3 aprile 1633 e la prima tranche di lavori, su progetto di Carlo Buzio, fu ultimata sul finire del 1635: il 17 gennaio 1636 avvenne il solenne trasloco dalla chiesetta di sant'Antonio alla nuova chiesa, che fu dedicata ai nomi di Gesù e Maria. La chiesa, che mancava della parte finale e della facciata, fu ultima una trentina di anni dopo, sotto la direzione di Carlo Rainaldi, tra il 1671 ed il 1674: il 28 gennaio 1675 il tempio fu solennemente consacrato, come ricorda una lapide murata per l’occasione in sacrestia. Fra il 1678 ed il 1690 fu messa in opera la decorazione interna dell’edificio sacro ed il suo totale rivestimento in marmo, grazie alla munificenza del vescovo di Rieti, Giorgio Bolognetti.

La chiesa è sede del titolo cardinalizio di Santissimi Nomi di Gesù e Maria in Via Lata, istituito da papa Paolo VI il 7 giugno 1967

DESCRIZIONE Della Chiesa

La facciata della chiesa, di Carlo Rainaldi, è in travertino e mattoni. L’unico portale d’ingresso è sormontato da un timpano a lunetta e da un finestrone rettangolare; è affiancato da quattro lesene corinzie, che sostengono la trabeazione con la scritta Iesu et Mariae, ed un grande timpano triangolare di coronamento.

La chiesa è ad un’unica navata, con volta a botte e tre cappelle per lato. Essa misura 27 metri di lunghezza e circa 15 di larghezza; la cappella che compone l’altare maggiore è di 7 metri per 7. [3] La volta fu decorata da Giacinto Brandi con una tela raffigurante la Glorificazione della Vergine con i quattro evangelisti; sul cornicione della volta vi sono statue in stucco che raffigurano i profeti ed altri personaggi dell’antico testamento.

Sul lato sinistro della chiesa vi sono le cappelle dedicate a san Tommaso da Villanova, a San Giuseppe e alla Madonna del Divino Aiuto. Tra le cappelle, sono collocati due monumenti funebri: il primo è dedicato ad Ercole e Luigi Bolognetti, fratelli del benefattore della chiesa, Giorgio Bolognetti, il cui monumento funebre si trova tra la cappella di san Giuseppe e quella della Madonna del Divino Aiuto.

Sul lato destro della chiesa vi sono le cappelle dedicate al Crocifisso, a San Nicola da Tolentino e a sant'Anna. Tra esse, due monumenti funebri: il primo dedicato a Pietro e Francesco Bolognetti (di Pietro Cavallini del 1681), il secondo a fra Mario Bolognetti (di Francesco Aprile), esempi fra i più caratteristici della scultura barocca funeraria.


Il presbiterio e l’altare maggiore si caratterizzano per l’imponenza e la ricchezza dei materiali utilizzati. La tela d’altare è di Giacinto Brandi e rappresenta Gesù che incorona Maria (1679).