giovedì 27 giugno 2013
Il Credo di Papa Francesco
Tra le cose più care custodiva nel suo breviario (e certamente è così ancora oggi) una lettera della nonna (verso cui Bergoglio è sempre stato particolarmente legato) consegnatagli in occasione della sua ordinazione sacerdotale e dove vi è scritto: “In questo bellissimo giorno in cui puoi tenere tra le tue mani consacrate il Cristo Salvatore e ti si apre un lungo cammino per l’apostolato più profondo, ti faccio questo modesto regalo di scarso valore materiale, ma immenso valore spirituale”.
Ma c’è ancora un importante memoria che Jorge Mario Bergoglio conserva con particolare devozione e che rivela la sua grande spiritualità. Si tratta di una personale confessione di fede, scritta nel 1969, prima di essere ordinato sacerdote:
«Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte [il sacerdote che lo confessò il 21 settembre, ndr] stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».
Fonte Vaticano Insider
domenica 23 giugno 2013
Amedeo e Katia sposi nel Signore
Ieri pomeriggio, 22 giugno, alle ore 17.30, nella Cappella della Madonna del Santissimo Rosario e Polline, AMEDEO RINALDI e KATIA PAGANO, hanno unito la loro vita nel Signore Gesù.
Alla gioia dei genitori Alfredo e Nicoletta, Giuseppina ed Emanuele, si è aggiunta la festa dei numerosi parenti ed amici pervenuti nella suggestiva Tenuta di Polline.
Don Giuseppe, commentando in particolare l'inno alla Carità di San Paolo, ha voluto affidare questa nuova famiglia alla Protezione di Maria del Santissimo Rosario.
Ai nuovi sposi si aggiungono le nostre felicitazioni e la nostra fiduciosa preghiera
venerdì 21 giugno 2013
La teologia della Liberazione
«Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come “teologia della liberazione”, che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». A consacrare la teologia “liberazionista” con questa lusinghiera e perentoria valutazione storica non è qualche attempato reduce sudamericano di stagioni ecclesiali tramontate. L’attestato di merito arriva direttamente dall’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, Prefetto in carica dello stesso dicastero vaticano – la Congregazione per la dottrina della fede (CdF) – che negli anni Ottanta, su impulso del Papa polacco e sotto la guida dell’allora cardinale Ratzinger, intervenne con ben due istruzioni per segnalare le deviazioni pastorali e dottrinali che pure incombevano sui cammini imboccati dalle teologie latino-americane.
La decisa valorizzazione della Tdl non è una boutade sfuggita per incidente all’attuale custode dell’ortodossia cattolica. Lo stesso, soppesato giudizio pervade le dense pagine dell’intero volume da cui la frase è tratta: una raccolta di saggi scritta a quattro mani, già stampata in Germania nel 2004, che ora sta per essere pubblicato anche in Italia con il titolo Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa (Edizioni Messaggero Padova/Emi).
FONTE VATICAN INSIDER
Prosegue il lavoro di Restauro
Siamo alle ultime settimane di lavoro. Le restauratrici Lia e Daniela proseguono speditamente sotto la supervisione della dottoressa Capriotti della Spoprintendenza.
Dietro l'immafine dell'affresco della Madonna dei miracoli, c'è l'epigrafe dell'anno di collocazione. Frammento molto interessante.
Dietro l'immafine dell'affresco della Madonna dei miracoli, c'è l'epigrafe dell'anno di collocazione. Frammento molto interessante.
i nuovi vizi capitali
Interessante articolo letto su
ALETEIA
Qualche tempo fa era chic parlare dei social network solamente in termini di rischi e minacce. Bastava uno scandalo mediatico a dare credito a una tesi abbastanza inconsistente che mascherava in maniera molto maldestra l'ignoranza riguardo a questi mezzi e la mancanza di voglia di "metterci la testa".
Più recentemente, quasi come un controbilanciamento - movimento per di più benedetto da papa Benedetto XVI - è diventato chiaro che Facebook e Twitter sono mezzi "in-di-spen-sa-bi-li" per la nuova evangelizzazione e cruciali per essere all'ascolto delle "gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi" del nostro paese e del mondo.
In effetti, tra queste due prospettive - una troppo fosca e l'altra troppo ottimista - e dato che queste reti ci sono diventate sempre più familiari, occorre dire grazie per tutto il bene che ci hanno fatto, a cominciare dal fatto che hanno avvicinato un po' di più le persone tra loro, senza nascondersi le tentazioni che comportano e i sette peccatori capitali che vi imperversano.
Il superbo. Non legge i messaggi degli altri ma rilegge i propri. Un filo esibizionista borderline, valuta costantemente la propria influenza e gratifica almeno il suo entourage con le proprie riflessioni narcisistiche. Gli piace sottolineare i propri pseudo-incontri con i grandi di questo mondo: "Ehi, @MelGibson non è che hai dimenticato i tuoi occhiali?". Non è un membro della rete, è la testa della rete. Tiene la contabilità delle proprie interazioni su Twitter e disegna le curve dei "likes" e dei propri status su Facebook. Il massimo della soddisfazione è vedere che le proprie informazioni sono riprese, condivise e commentate. In un epoca di dittatura del relativismo è bene che vi siano dei nuovi magisteri. E in tutta franchezza è meglio che sia lui il maestro del momento, visto l'alto numero di cretini in circolazione. Inoltre, è assolutamente necessario che cambi la foto del proprio profilo circa ogni 48 ore. Quella del proprio ombelico.
L'avaro. Lui al contrario non condivide le proprie informazioni: lucra quelle degli altri. Consuma lo schermo a furia di guardare. Sotto pseudonimo, vede ma non si fa vedere. Voyeur imbucato s'immischia segretamente nel quotidiano del suo giro, se la ride nel suo angolino o s'intristisce, ma si guarda bene dal commentare o dall'interagire. Ritiene che gli altri manchino di pudore e non comprende come si possa buttare al vento le proprie informazioni in quel modo. In generale l'avaro si smaschera con un'osservazione assassina in occasione di un incontro nel mondo reale: "Va meglio col tuo capo, per quel che capisco dal tuo status del 12 settembre scorso delle 19,06, che è piaciuto a Teresa e Sofia".
L'invidioso. Si domanda se non dovrebbe smetterla con i social network. È troppo dura vedere tutta questa gente che sprizza felicità. La continua autopromozione dei propri amici lo fa impazzire. Commenta in modo compulsivo con messaggi gutturali, del tipo: "Hmm, boh, già visto, blurp". Autoerotismo e stop. Quando lui pubblicherà qualcosa, vedranno gli altri di che cosa è capace! Per il momento s'accontenta delle peripezie che legge qua e là, ma non può fare a meno di rattristarsi per l'erba più verde di questo festino interattivo nel quale lui fa la parte del Lazzaro.
L'iracondo. Se la prende con tutto e tutti. Ce l'ha con il "matrimonio per tutti" ma anche con la "manifestazione per tutti", pubblica in funzione delle proprie emozioni negative. Attacca tutti come novello Cyrano dei tempi moderni: i falsi nobili, i falsi devoti, i falsi coraggiosi. Ha proposto a Facebook di lanciare il bottone "non mi piace per niente", senza risposta al momento, cosa che costituisce un altro scandalo. Ama la polemica, il "tweet clash" e raggiunge per primo il livello "Godwin" dando sistematicamente al proprio avversario del nazista, tanto per iniziare la conversazione. Il collerico è fondamentale per rilanciare le voci più incerte: "La SNCF (corrispettivo francese di Trenitalia; ndr) avrebbe soppresso la carta igienica dai treni per obbligare gli utenti a mettere le mani nella cacca. Per protestare mettetene un rotolo alla vostra finestra alle 18. Fate girare!!!". Quando gli salta la mosca al naso, gli piace sfogarsi sul proprio schermo. Non è gran che come spettacolo.
Il lussurioso. Gli piace dare un'occhiata ai profili delle amiche prima di accettarle e si lascia portare volentieri dai link pubblicitari i più improbabili dove "Natasha canadese di 22 anni s'annoia tremendamente questa sera" e clicca troppo spesso sui video-trappola di Facebook che lo obbligano a condividere il link con la sua rete prima di poterlo guardare. Il che rende questo cacciatore d'immagini un pentito abitudinario: "Ho cliccato per errore su un video che proprio non m'interessava, davvero, lo giuro...". Studia i comportamenti di Femen e vuole comprendere il senso profondo dei loro gesti. Queste donne meritano d'essere ascoltate. O quanto meno, guardate.
L'accidioso. I social network sono il suo relax. Vegeta liberamente parecchie ore al giorno, mezzo ipnotizzato dai propri pensieri evanescenti e dallo schermo piatto. Vorrebbe che il flusso delle informazioni arrivasse a lui senza dover cliccare: aspetta la versione Mac degli "occhiali e-social" con scorrimento delle informazioni comandato dalla pupilla. Non è che gli ripugni mettere i "like" o ritwittare quella o quell'altra informazione, è che non ha "davvero davvero" l'energia per pubblicare una notizia. La sua accidia giustifica la sua presenza nei social network e i social network giustificano la sua accidia. È in ritardo ogni giorno e spiega che la giornata è sempre più piena: "un sacco di informazioni, capisci? E poi le email, sto diventando pazzo".
Il goloso. Facebook ha le sue delizie e Twitter le sue ebrezze. Gli piace divorare le informazioni e prova un senso di fame dopo un'ora di riunione e di sete dopo che sta sette minuti senza il suo telefono. Ultra-relazionale, risale la sua LT (linea temporale) o la sua colonna del registro delle attività fino a quelle che ha già letto. Il suo motto: venuto, visto. Mette tra i preferiti le info del giorno per riguardarle di notte. S'addormenta meravigliato pensando all'informazione che condividerà domani e al gioco di parole che nella giornata lo ha fatto progredire molto. In città spiega: " Abbiamo veramente compiuto una svolta con questo tipo di rete. E dire che prima la gente viveva sola in campagna, e al freddo, e poi c'era la guerra. No, con i miei 453 amici e 352 followers non sarò più solo".
Sì le tentazioni sulla rete sono molte. Le più pericolose non sono sempre quelle che crediamo, né quelle di cui ci parlano i media. Se incontriamo uno di questi sette vizi o se ci riconosciamo in uno di questi profili, non dobbiamo avere paura.
I peccatori sono la passione di nostro Signore. Anche se a volte costa essere nel gruppo dei suoi amici o dei suoi follower.
Un internauta avvertito ne vale due (punto zero). Se il tuo mouse ti porta a peccare, disconnettilo (cf. Mt 18,8). Riconnettilo solo quando sei determinato a un po' di umiltà, di generosità, di benevolenza, di pace di purezza, di lavoro e di misura.
Amen!
lunedì 17 giugno 2013
TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO AL CONVEGNO DELLA DIOCESI DI ROMA 17 GIUGNO 2013
TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO AL CONVEGNO DELLA DIOCESI DI ROMA 17 GIUGNO 2013
Buonasera a tutti, cari fratelli e sorelle!
L’apostolo Paolo finiva questo brano della sua lettera ai nostri antenati con queste parole: non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia. E questa è la nostra vita: camminare sotto la grazia, perché il Signore ci ha voluto bene, ci ha salvati, ci ha perdonati. Tutto ha f...atto il Signore, e quella è la grazia, la grazia di Dio. Noi siamo in cammino sotto la grazia di Dio, che è venuta da noi in Gesù Cristo che ci ha salvato. Ma questo ci apre verso un orizzonte grande, e questo è per noi gioia. “Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia”. Ma cosa significa, questo “vivere sotto la grazia”? Cercheremo di spiegare qualcosa di che significa vivere sotto la grazia. E’ la nostra gioia, è la nostra libertà. Noi siamo liberi. Perché? Perché viviamo sotto la grazia. Noi non siamo più schiavi della Legge: siamo liberi perché Gesù Cristo ci ha liberati, ci ha dato la libertà, quella piena libertà di figli di Dio, che viviamo sotto la grazia. Questo è un tesoro. Cercherò di spiegare un po’ questo mistero tanto bello, tanto grande. Vivere sotto la grazia.
Quest’anno avete lavorato tanto sul Battesimo e anche sul rinnovamento della pastorale post-battesimale. Il Battesimo, questo passare da “sotto la Legge” a “sotto la grazia”, è una rivoluzione. Sono tanti i rivoluzionari nella storia, eh?, sono stati tanti. Ma nessuno ha avuto la forza di questa rivoluzione che ci ha portato Gesù. Una rivoluzione per trasformare la storia che cambia in profondità il cuore dell’uomo. Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo. La vera rivoluzione, quella che trasforma radicalmente la vita, l’ha compiuta Gesù Cristo attraverso la sua Resurrezione: la Croce e la Resurrezione. E Benedetto XVI diceva, di questa rivoluzione, che “è la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Ma pensiamo questo, eh? E’ la più grande mutazione della storia dell’umanità, è una vera rivoluzione e noi siamo rivoluzionarie e rivoluzionari di questa rivoluzione, perché noi andiamo per questa strada della più grande mutazione della storia dell’umanità. Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano! Deve essere rivoluzionario per la grazia! Proprio la grazia che il Padre ci dà attraverso Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto fa di noi rivoluzionari, perché – e cito nuovamente Benedetto – “è la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Perché cambia il cuore. Il profeta Ezechiele lo diceva: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. E questa è l’esperienza che vive l’Apostolo Paolo: dopo avere incontrato Gesù sulla via di Damasco, cambia radicalmente la sua prospettiva di vita e riceve il Battesimo. Dio trasforma il suo cuore! Ma pensate, eh?: un persecutore, uno che inseguiva la Chiesa e i cristiani, diventa un santo, un cristiano fino alle ossa, proprio un cristiano vero! Prima è un violento persecutore, ora diventa un apostolo, un testimone coraggioso di Gesù Cristo, al punto di non aver paura di subire il martirio. Quel Saulo che voleva uccidere chi annunziava il Vangelo, alla fine dona la sua vita per annunciare il Vangelo. E’ questo il mutamento, il più grande mutamento del quale ci parlava Papa Benedetto. Ti cambia il cuore, da peccatore – da peccatore: tutti siamo peccatori – ti trasforma in santo. E ciascuno di noi non è peccatore? Ma, se c’è qualcuno, alzi la mano! Ah, guardi … lavoro per lei, eh? Tutti siamo peccatori, eh?, tutti! Tutti siamo peccatori! Ma la grazia di Gesù Cristo ci salva dal peccato: ci salva! Tutti, se noi accogliamo la grazia di Gesù Cristo, lui cambia il nostro cuore e da peccatori ci fa santi. Per diventare santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia di immaginetta, tutta così, no? No, no, non è necessario quello! Una sola cosa è necessaria per diventare santi: accogliere la grazia che il Padre ci dà in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore. Continuiamo, noi, ad essere peccatori, perché tutti siamo deboli. Ma anche con questa grazia che ci fa sentire che il Signore è buono, che il Signore è misericordioso, che il Signore ci aspetta, che il Signore ci perdona, questa grazia grande, che cambia il nostro cuore.
E, diceva il profeta Ezechiele, che da un cuore di pietra lo cambia in un cuore di carne. Cosa vuol dire, quello? Un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerezza per chi, portando impresse le ferite della vita, si sente alla periferia della società. L’amore è la più grande forza di trasformazione della realtà, perché abbatte i muri dell’egoismo e colma i fossati che ci tengono lontani gli uni dagli altri. E questo è l’amore che viene da un cuore mutato, da un cuore di pietra che è trasformato in un cuore di carne, un cuore umano. E questo lo fa la grazia, la grazia di Gesù Cristo che noi tutti abbiamo ricevuto. Alcuni di voi, quanto costa la grazia, lo sa? Dove si vende la grazia? Dove posso comprare la grazia? Nessuno sa dirlo: no. Vado a comprarla dalla segretaria parrocchiale, forse lei la vende, la grazia? Qualche prete la vende, la grazia? Ma, sentite bene questo: la grazia non si compra e non si vende. E’ un regalo di Dio in Gesù Cristo. Gesù Cristo ci da la grazia. E’ l’unico che ci da la grazia. E’ un regalo: ce lo offre, a noi. Prendiamola. E’ bello questo. L’amore di Gesù è così: ci dà la grazia gratuitamente. Gratuitamente. E noi dobbiamo darla ai fratelli, alle sorelle, gratuitamente. E’ un po’ triste quando uno incontra alcuni che vendono la grazia: nella storia della Chiesa alcune volte è accaduto, questo, e ha fatto tanto male, tanto male. Ma la grazia non si può vendere: la ricevi gratuitamente e la dai gratuitamente. E questa è la grazia di Gesù Cristo.
E in mezzo a tanti dolori, a tanti problemi che ci sono qui, a Roma, c’è gente che vive senza speranza. Ma, ciascuno di noi può pensare, in silenzio, alle persone che vivono senza speranza, e sono immerse in una profonda tristezza da cui cercano di uscire credendo di trovare la felicità nell’alcol, nella droga, nel gioco d’azzardo, nel potere del denaro, nella sessualità senza regole … Ma si ritrovano ancora più delusi e talvolta sfogano la loro rabbia verso la vita con comportamenti violenti e indegni dell’uomo. Quante persone tristi, quante persone tristi, senza speranza! Anche pensate a tanti giovani che, dopo aver sperimentato tante cose, non trovano senso alla vita e cercano il suicidio, come soluzione. Voi sapete quanti suicidi di giovani ci sono oggi, nel mondo? Ma, la cifra è alta. Perché? Non hanno speranza. Hanno provato tante cose e la società, che è crudele – è crudele! – non ti può dare speranza. E la speranza è come la grazia: non si può comprare, è un dono di Dio. E noi dobbiamo offrire la speranza cristiana con la nostra testimonianza, con la nostra libertà, con la nostra gioia. Il regalo che ci dà Dio della grazia, porta la speranza. Noi, che abbiamo la gioia di accorgerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza saperlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti. Ma come possiamo fare questo? Come possiamo andare avanti e offrire la speranza? Andare per la strada: “Ah, io ho la speranza!”? No. Con la vostra testimonianza, con il vostro sorriso, dire: “Io credo che ho un Padre”. E l’annunzio del Vangelo è questo: con la mia parola, con la mia testimonianza dire: “Io ho un Padre. Non siamo orfani. Abbiamo un Padre”, e condividere questa filiazione con il Padre e con tutti gli altri. “Ah, padre, adesso capisco: si tratta di convincere gli altri, di fare proseliti!”. No: niente di quello. Il Vangelo è come il seme: tu lo semini, lo semini con la tua parola e con la tua testimonianza. E poi, non fai la statistica di come è andato quello: la fa Dio. Lui fa crescere questo seme. Ma dobbiamo seminare con quella certezza che l’acqua la dà Lui, la crescita la da Lui. E anche noi, non facciamo la raccolta: la farà un altro prete, un altro laico, un’altra laica, un altro la farà. Ma la gioia di seminare con la testimonianza, perché con la parola solo non basta: non basta. Parola senza testimonianza è aria. Le parole non bastano. La vera testimonianza che dice Paolo.
L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del necessario per condurre una vita dignitosa. A loro è annunciato per primi il lieto messaggio che Dio li ama con predilezione e viene a visitarli attraverso le opere di carità che i discepoli di Cristo compiono in suo nome. Prima di tutto, andare ai poveri: quello è il primo. Nel momento del Giudizio finale, possiamo leggere in Matteo 25, tutti saremo giudicati su questo. Ma alcuni, poi, pensano che il messaggio di Gesù sia destinato a coloro che non hanno una preparazione culturale: ah, no! No. L’apostolo afferma con forza che il Vangelo è per tutti, anche per i dotti. La sapienza, che deriva dalla Resurrezione, non si oppone a quella umana ma, al contrario, la purifica, la eleva. La Chiesa è sempre stata presente nei luoghi dove lavora la cultura. Ma il primo passo, sempre la priorità ai poveri. Ma anche dobbiamo andare alle frontiere dell’intelletto, della cultura, nell’altezza del dialogo, del dialogo che fa la pace, del dialogo intellettuale, del dialogo ragionevole. E’ per tutti, il Vangelo, eh? Questo di andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperismi, o una sorta di barboni spirituali: no, no, non significa quello, non significa. Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura … Dobbiamo andare là! Perciò, a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza.
E questo significa che noi dobbiamo avere coraggio. Paolo VI diceva che lui non capiva i cristiani scoraggiati: non li capiva. Questi cristiani tristi, ansiosi, questi cristiani che uno pensa se credono in Cristo o nella dea Lamentela: non si sa mai. Ma tutti i giorni si lamentano, si lamentano … E come va il mondo, guarda, che calamità, le calamità … Ma, pensa, il mondo non è peggio di cinque secoli fa, no? Il mondo è il mondo: è sempre stato il mondo. E quando uno si lamenta e va così, non si può far niente, ah, la gioventù, e così, no? – ma, voi conoscete … io vi faccio una domanda: voi conoscete cristiani così? Ce ne sono, ce ne sono, eh? Ma, il cristiano dev’essere coraggioso e davanti al problema, davanti ad una crisi sociale, religiosa deve avere il coraggio di andare avanti, di andare avanti con coraggio. E quando non si può far niente, con pazienza: sopportando. Sopportare. Coraggio e pazienza, queste due virtù di Paolo. Coraggio: andare avanti, fare le cose, dare testimonianza forte: avanti! Sopportare, portare sulle spalle le cose che non si possono cambiare ancora. Ma andare avanti con questa pazienza, con questa pazienza che ci dà la grazia. Ma, cosa dobbiamo fare con il coraggio e con la pazienza? Uscire da noi stessi: uscire da noi stessi. Uscire dalle nostre comunità per andare lì, dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare loro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth. Annunciare questa grazia che ci è stata regalata di Gesù. Se ai sacerdoti ho chiesto, Giovedì Santo, di essere pastori con l’odore delle pecore, a voi, cari fratelli e sorelle, dico: siate ovunque portatori della Parola di vita nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro e dovunque le persone si ritrovino e sviluppino relazioni. Voi dovete andare fuori. Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse in parrocchia … Ma voglio dirvi una cosa, eh? Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna, si accorge che manca una e lascia le 99 e va a cercare una. Ma, fratelli e sorelle, abbiamo una: ci mancano 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo uscire da loro! Ma, in questa cultura, diciamoci la verità: in questa cultura ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza, e noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Eh, quella è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E’ più facile restare a casa, con quella unica pecorella, eh? E’ più facile! Eh, con quella pecorella, pettinarla, carezzarla … ma a noi preti, anche a voi cristiani, tutti, il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle: pastori! E quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, e così, questa comunità non è una comunità che dà vita. E’ una comunità sterile, non è feconda. La fecondità del Vangelo viene per la grazia di Gesù Cristo ma attraverso noi, la nostra predicazione, il nostro coraggio, la nostra pazienza.
Viene un po’ lunga, no?, la cosa? Eh? Ma, non è facile. E dobbiamo dirci la verità: il lavoro di evangelizzare, di portare avanti la grazia gratuitamente non è facile. Perché non siamo noi soli con Gesù Cristo. Anche c’è un avversario, un nemico che vuole tenere gli uomini separati da Dio. E per questo instilla nei cuori la delusione, quando noi non vediamo ricompensato subito il nostro impegno apostolico. Il diavolo ogni giorno getta nei nostri cuori semi di pessimismo e di amarezza, e uno si scoraggia: noi ci scoraggiamo. “Eh, non va, abbiamo fatto questo, non va, abbiamo fatto quell’altro e non va, e guarda tu quella religione come attira tanta gente e noi no …”: è il diavolo che mette questo, no? Dobbiamo prepararci alla lotta spirituale. E questo è importante. Non si può predicare il Vangelo senza questa lotta spirituale: una lotta di tutti i giorni contro la tristezza, contro l’amarezza, contro il pessimismo … una lotta di tutti i giorni. Seminare non è facile: è più bello raccogliere. Ma seminare non è facile, e questa è la lotta di tutti i giorni dei cristiani.
Paolo diceva che lui aveva l’urgenza di predicare e lui aveva l’esperienza di questa lotta spirituale, quando diceva: “Ho nella mia carne una spina di satana che tutti i giorni la sento”. Anche noi abbiamo spine di satana che ci fanno soffrire e ci fanno andare con difficoltà e spesso ci scoraggiano. Prepararci alla lotta spirituale: l’evangelizzazione chiede da noi un vero coraggio anche per questa lotta interiore, eh?, nel nostro cuore, per dire con la preghiera, con la mortificazione, con la voglia di seguire Gesù, con i Sacramenti che sono un incontro con Gesù, dire a Gesù: Grazie, grazie per la Tua grazia. Voglio portarla agli altri. Ma questo è lavoro: questo è lavoro. Questo si chiama – non vi spaventate – si chiama martirio: il martirio è questo. Fare la lotta, tutti i giorni, per testimoniare. Questo è martirio. E ad alcuni il Signore chiede il martirio della vita. Ma c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori.
E adesso, vorrei finire pensando una cosa. In questo tempo, in cui la gratuità sembra affievolirsi nelle relazioni interpersonali, perché tutto si vende e tutto si compra e la gratuità è difficile trovarla, noi cristiani annunciamo un Dio che per essere nostro amico non chiede nulla se non di essere accolto. L’unica cosa che chiede Gesù: essere accolto. Pensiamo a quanti vivono nella disperazione perché non hanno mai incontrato qualcuno che abbia loro mostrato attenzione, li abbia consolati, li abbia fatti sentire preziosi e importanti. Noi, discepoli del Crocifisso, possiamo rifiutarci di andare in quei luoghi dove nessuno vuole andare per la paura di comprometterci e del giudizio altrui, e così negare a questi nostri fratelli l’annuncio della Parola di Dio? La gratuità: noi abbiamo ricevuto questa gratuità, questa grazia, gratuitamente; dobbiamo darla, gratuitamente. E questo è quello che alla fine voglio dirvi. Non avere paura: non avere paura. Non avere paura dell’amore, dell’amore di Dio, di nostro Padre. Non avere paura. Non avere paura di ricevere la grazia di Gesù Cristo, non avere paura della nostra libertà che viene data dalla grazia di Gesù Cristo o, come diceva Paolo: “Non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia”. Non avere paura della grazia, non avere paura di uscire da noi stessi, non avere paura di uscire dalle nostre comunità cristiane per andare a trovare quelle 99 che non sono a casa. E andare a dialogare con loro, e dire loro che cosa pensiamo, andare a mostrare il nostro amore che è l’amore di Dio.
Cari, cari fratelli e sorelle: non abbiamo paura! Andiamo avanti per dire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che noi siamo sotto la grazia, che Gesù ci da la grazia e quello non costa niente: soltanto, riceverla. Avanti!
Buonasera a tutti, cari fratelli e sorelle!
L’apostolo Paolo finiva questo brano della sua lettera ai nostri antenati con queste parole: non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia. E questa è la nostra vita: camminare sotto la grazia, perché il Signore ci ha voluto bene, ci ha salvati, ci ha perdonati. Tutto ha f...atto il Signore, e quella è la grazia, la grazia di Dio. Noi siamo in cammino sotto la grazia di Dio, che è venuta da noi in Gesù Cristo che ci ha salvato. Ma questo ci apre verso un orizzonte grande, e questo è per noi gioia. “Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia”. Ma cosa significa, questo “vivere sotto la grazia”? Cercheremo di spiegare qualcosa di che significa vivere sotto la grazia. E’ la nostra gioia, è la nostra libertà. Noi siamo liberi. Perché? Perché viviamo sotto la grazia. Noi non siamo più schiavi della Legge: siamo liberi perché Gesù Cristo ci ha liberati, ci ha dato la libertà, quella piena libertà di figli di Dio, che viviamo sotto la grazia. Questo è un tesoro. Cercherò di spiegare un po’ questo mistero tanto bello, tanto grande. Vivere sotto la grazia.
Quest’anno avete lavorato tanto sul Battesimo e anche sul rinnovamento della pastorale post-battesimale. Il Battesimo, questo passare da “sotto la Legge” a “sotto la grazia”, è una rivoluzione. Sono tanti i rivoluzionari nella storia, eh?, sono stati tanti. Ma nessuno ha avuto la forza di questa rivoluzione che ci ha portato Gesù. Una rivoluzione per trasformare la storia che cambia in profondità il cuore dell’uomo. Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo. La vera rivoluzione, quella che trasforma radicalmente la vita, l’ha compiuta Gesù Cristo attraverso la sua Resurrezione: la Croce e la Resurrezione. E Benedetto XVI diceva, di questa rivoluzione, che “è la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Ma pensiamo questo, eh? E’ la più grande mutazione della storia dell’umanità, è una vera rivoluzione e noi siamo rivoluzionarie e rivoluzionari di questa rivoluzione, perché noi andiamo per questa strada della più grande mutazione della storia dell’umanità. Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano! Deve essere rivoluzionario per la grazia! Proprio la grazia che il Padre ci dà attraverso Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto fa di noi rivoluzionari, perché – e cito nuovamente Benedetto – “è la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Perché cambia il cuore. Il profeta Ezechiele lo diceva: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. E questa è l’esperienza che vive l’Apostolo Paolo: dopo avere incontrato Gesù sulla via di Damasco, cambia radicalmente la sua prospettiva di vita e riceve il Battesimo. Dio trasforma il suo cuore! Ma pensate, eh?: un persecutore, uno che inseguiva la Chiesa e i cristiani, diventa un santo, un cristiano fino alle ossa, proprio un cristiano vero! Prima è un violento persecutore, ora diventa un apostolo, un testimone coraggioso di Gesù Cristo, al punto di non aver paura di subire il martirio. Quel Saulo che voleva uccidere chi annunziava il Vangelo, alla fine dona la sua vita per annunciare il Vangelo. E’ questo il mutamento, il più grande mutamento del quale ci parlava Papa Benedetto. Ti cambia il cuore, da peccatore – da peccatore: tutti siamo peccatori – ti trasforma in santo. E ciascuno di noi non è peccatore? Ma, se c’è qualcuno, alzi la mano! Ah, guardi … lavoro per lei, eh? Tutti siamo peccatori, eh?, tutti! Tutti siamo peccatori! Ma la grazia di Gesù Cristo ci salva dal peccato: ci salva! Tutti, se noi accogliamo la grazia di Gesù Cristo, lui cambia il nostro cuore e da peccatori ci fa santi. Per diventare santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia di immaginetta, tutta così, no? No, no, non è necessario quello! Una sola cosa è necessaria per diventare santi: accogliere la grazia che il Padre ci dà in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore. Continuiamo, noi, ad essere peccatori, perché tutti siamo deboli. Ma anche con questa grazia che ci fa sentire che il Signore è buono, che il Signore è misericordioso, che il Signore ci aspetta, che il Signore ci perdona, questa grazia grande, che cambia il nostro cuore.
E, diceva il profeta Ezechiele, che da un cuore di pietra lo cambia in un cuore di carne. Cosa vuol dire, quello? Un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerezza per chi, portando impresse le ferite della vita, si sente alla periferia della società. L’amore è la più grande forza di trasformazione della realtà, perché abbatte i muri dell’egoismo e colma i fossati che ci tengono lontani gli uni dagli altri. E questo è l’amore che viene da un cuore mutato, da un cuore di pietra che è trasformato in un cuore di carne, un cuore umano. E questo lo fa la grazia, la grazia di Gesù Cristo che noi tutti abbiamo ricevuto. Alcuni di voi, quanto costa la grazia, lo sa? Dove si vende la grazia? Dove posso comprare la grazia? Nessuno sa dirlo: no. Vado a comprarla dalla segretaria parrocchiale, forse lei la vende, la grazia? Qualche prete la vende, la grazia? Ma, sentite bene questo: la grazia non si compra e non si vende. E’ un regalo di Dio in Gesù Cristo. Gesù Cristo ci da la grazia. E’ l’unico che ci da la grazia. E’ un regalo: ce lo offre, a noi. Prendiamola. E’ bello questo. L’amore di Gesù è così: ci dà la grazia gratuitamente. Gratuitamente. E noi dobbiamo darla ai fratelli, alle sorelle, gratuitamente. E’ un po’ triste quando uno incontra alcuni che vendono la grazia: nella storia della Chiesa alcune volte è accaduto, questo, e ha fatto tanto male, tanto male. Ma la grazia non si può vendere: la ricevi gratuitamente e la dai gratuitamente. E questa è la grazia di Gesù Cristo.
E in mezzo a tanti dolori, a tanti problemi che ci sono qui, a Roma, c’è gente che vive senza speranza. Ma, ciascuno di noi può pensare, in silenzio, alle persone che vivono senza speranza, e sono immerse in una profonda tristezza da cui cercano di uscire credendo di trovare la felicità nell’alcol, nella droga, nel gioco d’azzardo, nel potere del denaro, nella sessualità senza regole … Ma si ritrovano ancora più delusi e talvolta sfogano la loro rabbia verso la vita con comportamenti violenti e indegni dell’uomo. Quante persone tristi, quante persone tristi, senza speranza! Anche pensate a tanti giovani che, dopo aver sperimentato tante cose, non trovano senso alla vita e cercano il suicidio, come soluzione. Voi sapete quanti suicidi di giovani ci sono oggi, nel mondo? Ma, la cifra è alta. Perché? Non hanno speranza. Hanno provato tante cose e la società, che è crudele – è crudele! – non ti può dare speranza. E la speranza è come la grazia: non si può comprare, è un dono di Dio. E noi dobbiamo offrire la speranza cristiana con la nostra testimonianza, con la nostra libertà, con la nostra gioia. Il regalo che ci dà Dio della grazia, porta la speranza. Noi, che abbiamo la gioia di accorgerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza saperlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti. Ma come possiamo fare questo? Come possiamo andare avanti e offrire la speranza? Andare per la strada: “Ah, io ho la speranza!”? No. Con la vostra testimonianza, con il vostro sorriso, dire: “Io credo che ho un Padre”. E l’annunzio del Vangelo è questo: con la mia parola, con la mia testimonianza dire: “Io ho un Padre. Non siamo orfani. Abbiamo un Padre”, e condividere questa filiazione con il Padre e con tutti gli altri. “Ah, padre, adesso capisco: si tratta di convincere gli altri, di fare proseliti!”. No: niente di quello. Il Vangelo è come il seme: tu lo semini, lo semini con la tua parola e con la tua testimonianza. E poi, non fai la statistica di come è andato quello: la fa Dio. Lui fa crescere questo seme. Ma dobbiamo seminare con quella certezza che l’acqua la dà Lui, la crescita la da Lui. E anche noi, non facciamo la raccolta: la farà un altro prete, un altro laico, un’altra laica, un altro la farà. Ma la gioia di seminare con la testimonianza, perché con la parola solo non basta: non basta. Parola senza testimonianza è aria. Le parole non bastano. La vera testimonianza che dice Paolo.
L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del necessario per condurre una vita dignitosa. A loro è annunciato per primi il lieto messaggio che Dio li ama con predilezione e viene a visitarli attraverso le opere di carità che i discepoli di Cristo compiono in suo nome. Prima di tutto, andare ai poveri: quello è il primo. Nel momento del Giudizio finale, possiamo leggere in Matteo 25, tutti saremo giudicati su questo. Ma alcuni, poi, pensano che il messaggio di Gesù sia destinato a coloro che non hanno una preparazione culturale: ah, no! No. L’apostolo afferma con forza che il Vangelo è per tutti, anche per i dotti. La sapienza, che deriva dalla Resurrezione, non si oppone a quella umana ma, al contrario, la purifica, la eleva. La Chiesa è sempre stata presente nei luoghi dove lavora la cultura. Ma il primo passo, sempre la priorità ai poveri. Ma anche dobbiamo andare alle frontiere dell’intelletto, della cultura, nell’altezza del dialogo, del dialogo che fa la pace, del dialogo intellettuale, del dialogo ragionevole. E’ per tutti, il Vangelo, eh? Questo di andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperismi, o una sorta di barboni spirituali: no, no, non significa quello, non significa. Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura … Dobbiamo andare là! Perciò, a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza.
E questo significa che noi dobbiamo avere coraggio. Paolo VI diceva che lui non capiva i cristiani scoraggiati: non li capiva. Questi cristiani tristi, ansiosi, questi cristiani che uno pensa se credono in Cristo o nella dea Lamentela: non si sa mai. Ma tutti i giorni si lamentano, si lamentano … E come va il mondo, guarda, che calamità, le calamità … Ma, pensa, il mondo non è peggio di cinque secoli fa, no? Il mondo è il mondo: è sempre stato il mondo. E quando uno si lamenta e va così, non si può far niente, ah, la gioventù, e così, no? – ma, voi conoscete … io vi faccio una domanda: voi conoscete cristiani così? Ce ne sono, ce ne sono, eh? Ma, il cristiano dev’essere coraggioso e davanti al problema, davanti ad una crisi sociale, religiosa deve avere il coraggio di andare avanti, di andare avanti con coraggio. E quando non si può far niente, con pazienza: sopportando. Sopportare. Coraggio e pazienza, queste due virtù di Paolo. Coraggio: andare avanti, fare le cose, dare testimonianza forte: avanti! Sopportare, portare sulle spalle le cose che non si possono cambiare ancora. Ma andare avanti con questa pazienza, con questa pazienza che ci dà la grazia. Ma, cosa dobbiamo fare con il coraggio e con la pazienza? Uscire da noi stessi: uscire da noi stessi. Uscire dalle nostre comunità per andare lì, dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare loro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth. Annunciare questa grazia che ci è stata regalata di Gesù. Se ai sacerdoti ho chiesto, Giovedì Santo, di essere pastori con l’odore delle pecore, a voi, cari fratelli e sorelle, dico: siate ovunque portatori della Parola di vita nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro e dovunque le persone si ritrovino e sviluppino relazioni. Voi dovete andare fuori. Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse in parrocchia … Ma voglio dirvi una cosa, eh? Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna, si accorge che manca una e lascia le 99 e va a cercare una. Ma, fratelli e sorelle, abbiamo una: ci mancano 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo uscire da loro! Ma, in questa cultura, diciamoci la verità: in questa cultura ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza, e noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Eh, quella è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E’ più facile restare a casa, con quella unica pecorella, eh? E’ più facile! Eh, con quella pecorella, pettinarla, carezzarla … ma a noi preti, anche a voi cristiani, tutti, il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle: pastori! E quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, e così, questa comunità non è una comunità che dà vita. E’ una comunità sterile, non è feconda. La fecondità del Vangelo viene per la grazia di Gesù Cristo ma attraverso noi, la nostra predicazione, il nostro coraggio, la nostra pazienza.
Viene un po’ lunga, no?, la cosa? Eh? Ma, non è facile. E dobbiamo dirci la verità: il lavoro di evangelizzare, di portare avanti la grazia gratuitamente non è facile. Perché non siamo noi soli con Gesù Cristo. Anche c’è un avversario, un nemico che vuole tenere gli uomini separati da Dio. E per questo instilla nei cuori la delusione, quando noi non vediamo ricompensato subito il nostro impegno apostolico. Il diavolo ogni giorno getta nei nostri cuori semi di pessimismo e di amarezza, e uno si scoraggia: noi ci scoraggiamo. “Eh, non va, abbiamo fatto questo, non va, abbiamo fatto quell’altro e non va, e guarda tu quella religione come attira tanta gente e noi no …”: è il diavolo che mette questo, no? Dobbiamo prepararci alla lotta spirituale. E questo è importante. Non si può predicare il Vangelo senza questa lotta spirituale: una lotta di tutti i giorni contro la tristezza, contro l’amarezza, contro il pessimismo … una lotta di tutti i giorni. Seminare non è facile: è più bello raccogliere. Ma seminare non è facile, e questa è la lotta di tutti i giorni dei cristiani.
Paolo diceva che lui aveva l’urgenza di predicare e lui aveva l’esperienza di questa lotta spirituale, quando diceva: “Ho nella mia carne una spina di satana che tutti i giorni la sento”. Anche noi abbiamo spine di satana che ci fanno soffrire e ci fanno andare con difficoltà e spesso ci scoraggiano. Prepararci alla lotta spirituale: l’evangelizzazione chiede da noi un vero coraggio anche per questa lotta interiore, eh?, nel nostro cuore, per dire con la preghiera, con la mortificazione, con la voglia di seguire Gesù, con i Sacramenti che sono un incontro con Gesù, dire a Gesù: Grazie, grazie per la Tua grazia. Voglio portarla agli altri. Ma questo è lavoro: questo è lavoro. Questo si chiama – non vi spaventate – si chiama martirio: il martirio è questo. Fare la lotta, tutti i giorni, per testimoniare. Questo è martirio. E ad alcuni il Signore chiede il martirio della vita. Ma c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori.
E adesso, vorrei finire pensando una cosa. In questo tempo, in cui la gratuità sembra affievolirsi nelle relazioni interpersonali, perché tutto si vende e tutto si compra e la gratuità è difficile trovarla, noi cristiani annunciamo un Dio che per essere nostro amico non chiede nulla se non di essere accolto. L’unica cosa che chiede Gesù: essere accolto. Pensiamo a quanti vivono nella disperazione perché non hanno mai incontrato qualcuno che abbia loro mostrato attenzione, li abbia consolati, li abbia fatti sentire preziosi e importanti. Noi, discepoli del Crocifisso, possiamo rifiutarci di andare in quei luoghi dove nessuno vuole andare per la paura di comprometterci e del giudizio altrui, e così negare a questi nostri fratelli l’annuncio della Parola di Dio? La gratuità: noi abbiamo ricevuto questa gratuità, questa grazia, gratuitamente; dobbiamo darla, gratuitamente. E questo è quello che alla fine voglio dirvi. Non avere paura: non avere paura. Non avere paura dell’amore, dell’amore di Dio, di nostro Padre. Non avere paura. Non avere paura di ricevere la grazia di Gesù Cristo, non avere paura della nostra libertà che viene data dalla grazia di Gesù Cristo o, come diceva Paolo: “Non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia”. Non avere paura della grazia, non avere paura di uscire da noi stessi, non avere paura di uscire dalle nostre comunità cristiane per andare a trovare quelle 99 che non sono a casa. E andare a dialogare con loro, e dire loro che cosa pensiamo, andare a mostrare il nostro amore che è l’amore di Dio.
Cari, cari fratelli e sorelle: non abbiamo paura! Andiamo avanti per dire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che noi siamo sotto la grazia, che Gesù ci da la grazia e quello non costa niente: soltanto, riceverla. Avanti!
sabato 15 giugno 2013
Bussa se hai bisogno
Rovistando tra le cose messe ‘in attesa’ di controllo, ho trovato questo scritto di papà, che ormai anziano scrive un ricordo di quando aveva poco più di vent’anni. Lo voglio riportare perché per me, figlio, è bello e significativo. Papà ha frequentato solo la quinta elementare e in tempi molto particolari. Non ha un linguaggio manzoniano, ma certo non privo di ‘talento’.
Lui stesso, probabilmente dopo essersi riletto, ha messo il titolo.
BUSSA SE HAI BISOGNO
Quella sera, per me era come tante altre. Sono partito da Cesena, verso le 19 circa.
Era la fine dell’Anno ’45, non si poteva contare sugli orari dei treni. Io sapevo che partendo con quel treno avevo la coincidenza a Falconara. Treno Ancona – Roma, perché solo così potevo stare un giorno a casa tra i miei genitori e fratelli. Giunto a Serra San Quirico le cose si complicarono. Già da Jesi, affacciandomi, vedevo che cadevano dei fiocchi di neve. Ma da montanaro. Dove sono nato, a quei fiocchi non davo tanto peso. Arrivai a serra verso le 2 di notte ed il tempo fioccava di più. Mi dicevo tra me: fino alla scarpa ce la faccio, se non verrà di più.
Quando sono giunto da Muschì ho avuto un po’ di paura, ‘se qui comincia ad essere una scarpa, a Castelletta è una gamba. Come faccio?
Mi venne in mente: ‘Se hai bisogno, veramente bisogno, bussa alla porta vicina, ti verrà aperto”.
Stetti qualche istante e mi ricordai che ‘su di lì’, doveva abitare una certa Santina: la Postina.
Ma non sapevo il cognome né la casa. Cosa fare?
Scelsi a caso e bussai.
Ed ecco la risposta di una donna: chi cercate? Cosa volete?
Sono un poveraccio che ha tanto bisogno, bisogno di aspettare che si faccia giorno. Sono di Castelletta, sono un soldato, mi potete far entrare?
Solo per aspettare che si faccia giorno, che smetta di ‘nengue’ (nevicare).
Quella donna mi aprì la porta di casa, mi fece entrare dopo avermi visto e avermi chiesto delle cose; poi, oltre, si affacciò il marito che stava nell’altra stanza, quella da letto.
‘Fallo venire qui, nella nostra camera, non vedi che ha tanto freddo?
Mettiti sotto la coperta e stai accanto a me: quello che conta è che ti riscaldi e così fu.
Mi coricai vicino a quell’uomo e mi riscaldai.
Lo specchio... rotto
Poco fa un tale di una certa età, ben vestito, mi si è avvicinato sussurrandomi: 'Sono credente e praticante ma mi si è rotto un grande specchio.. che succede?' l'ho guardato, e senza esitare gli ho risposto: 'Un grande guaio, caro signore, adesso tocca ricomprarlo e di questi tempi è proprio un bel problema', abbiamo sorriso e con una bella stretta di mano ci siamo salutati
Il tetto della Chiesa
Ho fatto diverse segnalazioni, telefoniche e non. Certo a vedere da queste immagini, il tetto di San Giacomo è un microcosmo dove i gabbiani la fanno da padroni tra tegole e sterpaglie.
In questo periodo poi sono particolarmente loquaci. Chissà cosa si dicono.... continuano giorno e notte a parlare .... come si dice?
(da una ricerca emerge che: Sul verso del gabbiano: mentre gli altri uccelli cantano e cinguettano, in tutta l'Europa occidentale i gabbiani gridano o strillano. Ecco qualche risultato di una piccola ricerca sulla rete. Francese: "le cri des mouettes"; Spagnolo: "el chillido de la gaviota"; Inglese: "the shrill cries of seagulls";
Tedesco: "Mövenschrei, Mövengeschrei"; Norvegese: "måkeskrik"; Svedese: "måsskrik"; Italiano: "I gridi dei gabbiani, gli strilli rauchi dei gabbiani". Infine, da un sito francese: "...et puis le cri des mouettes, la nuit, comme des cris de femmes...". )
Speriamo che col caldo migrino in lidi più freschi
In questo periodo poi sono particolarmente loquaci. Chissà cosa si dicono.... continuano giorno e notte a parlare .... come si dice?
(da una ricerca emerge che: Sul verso del gabbiano: mentre gli altri uccelli cantano e cinguettano, in tutta l'Europa occidentale i gabbiani gridano o strillano. Ecco qualche risultato di una piccola ricerca sulla rete. Francese: "le cri des mouettes"; Spagnolo: "el chillido de la gaviota"; Inglese: "the shrill cries of seagulls";
Tedesco: "Mövenschrei, Mövengeschrei"; Norvegese: "måkeskrik"; Svedese: "måsskrik"; Italiano: "I gridi dei gabbiani, gli strilli rauchi dei gabbiani". Infine, da un sito francese: "...et puis le cri des mouettes, la nuit, comme des cris de femmes...". )
Speriamo che col caldo migrino in lidi più freschi
lunedì 3 giugno 2013
NAVAMO PE’ LEMOSINA
Quasi ogni
giorno mi si stringe il cuore nel veder passare qui da me decine di persone che
chiedono aiuto materiale, di ogni genere: chi chiede soldi, chi medicine, chi
cibo, chi bombole o porta bollette della luce…..
Mi si
stringe il cuore non sapendo cosa fare, che dire.
Varie sono
le tipologie di persone: sono barboni, nomadi, ex detenuti, gente che ora si
affaccia quasi con vergogna perché si trova senza casa, senza lavoro; padri e
madri di famiglia, soprattutto padri separati. Chi è sfrattato o in via di
sfratto. Giovani e meno giovani in cerca di lavoro.
Ogni giorno
sotto gli occhi.
Mi viene in
mente un racconto di mia nonna Isolina:
“C’erano
tempi duri, difficili prima e dopo la guerra. La terra non produceva. Bastava
una grandinata ed andava perso tutto quanto avevi. Il nonno, andava, quando lo
chiamavano a ‘mete’ (mietere) su per Viterbo. Non c’era da mangiare e allora…. ‘navamo
pè lemosina’.
Andavi a
chiedere l’Elemosina?
Si! Cocco di
Nonna, andavamo a gruppi giù per ‘Serra’ o i paesi della valle.
E non ti
vergognavi?
Ma c’era la
fame, ci facevamo coraggio l’un'altra e bussavamo alle porte.
E cosa vi
davano?
Mezza ‘fila
de pà’ (pane); quattr’ova; un pezzetto de baccalà; un pezzo di ‘cacio’ e un
pezzo di salame, na manciata di sale e un brocchetto d’olio…”
Poi, è
cresciuto mio papà, poi siamo cresciuti noi…..
Noi che
siamo stati i ‘figli’ dell’Elemosina. Questo non dobbiamo dimenticarlo.
sabato 1 giugno 2013
Consegna definitiva della Cappella del Rosario
SCUOLA ARTI ORNAMENTALI - COMUNE DI ROMA
CORSO di RESTAURO DEL DIPINTO
Insegnanti: Daniela Caporali Viggiani
Gabriella Gaggi
Allievi:
Elisabetta Bianchi, Alisa Bystrova, Giulia Chellini, Maria Letizia Corradini, Giacomo Curatolo, Roberta Di Luca Sidozzi, Veronica Giorgetti, Montserrat Lasuncion Ascanio, Francesca Leone, Jacopo Verrecchia, Valentina Arena, Valentina Civita, Maria Grazia Corsanici, Martina Di Mario, Maddalena Corvaglia, Carolina Fontanella, Alfredo Guzzetti, Laura Lucibello, Michela Mezzomo Stucchi, Silvia Minella, Elisabetta Stefanini, Donatella Strazzeri, Angela Varanelli, Maria Elena Zitarelli.
CHIESA DI SAN GIACOMO IN AUGUSTA,
CAPPELLA DELLA MADONNA DEL ROSARIO
RELAZIONE DI RESTAURO
DELLA DECORAZIONE BASAMENTALE A FINTI MARMI SECOLO XX.
Intervento eseguito sotto il diretto controllo della Soprintendenza
Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per il Polo
Museale della città di Roma
Funzionario Storico Responsabile Dott.ssa Adriana Capriotti
Notizie storiche
La chiesa risale ad una
piccola cappella dedicata nel 1347 a san Giacomo apostolo, quando venne fondato
l’Ospedale di san Giacomo degli Incurabili. L’integrale ricostruzione
dell’ospedale ad opera del Cardinale Antonio Maria Salviati cominciò nel 1579 e
lo stesso nel 1592 fece iniziare la ricostruzione e l’ampliamento della chiesa
di San Giacomo. Il nome in Augusta deriva dalla vicinanza del mausoleo di
Augusto che si trova nelle vicinanze. I lavori furono affidati all’architetto
Francesco Capriani da Volterra, al quale subentrò nel 1598 Carlo Maderno. I
lavori terminarono nel 1602. La chiesa fu protagonista di un restauro voluto da
Pio IX dopo che fu trasformata in stalla durante la Repubblica Romana del 1849,
perdendo gran parte delle opere e dell’arredo. Il rifacimento comportò la
tinteggiatura di tutta la chiesa, la messa in opera dell’affresco della volta e
il pavimento marmoreo nel 1863. Nei
primi anni dello scorso secolo, la chiesa ha subito un’altra ampia campagna di
ridecorazione che è ora l’elemento che caratterizza maggiormente l’aspetto
dell’interno della chiesa.
(Particolare a destra dell'altare prima del restauro)
(Particolare a destra dell'altare dopo restauro)
Stato di conservazione
La decorazione (m 1,4 x m 12) si presentava in pessimo stato di conservazione, con gravi problemi di adesione e coesione dovuti principalmente all’umidità e all’incuria. La pellicola pittorica era scarsamente coesa per la naturale debolezza della tecnica di esecuzione; in alcune zone circoscritte erano presenti sollevamenti a scaglie e distacchi del colore. I danni maggiori causati da problemi di umidità di risalita avevano creato ampi distacchi dell’intonaco e perdite di pellicola pittorica. Le superfici dipinte erano coperte da uno strato di particellato atmosferico, polveri grasse, cataboliti animali e altre sostanze incoerenti di varia natura quali sostanze organiche e cera. La cromia ne risultava alterata. La parete più danneggiata da tali problemi risultava essere quella a destra.
Come per le altre cappelle, anche per la Cappella del Rosario, l’apparato decorativo è ben studiato e ben eseguito: la tecnica utilizzata sembra essere tempera a caseina.
Molti gli interventi precedenti: stuccature con gesso, cemento, estesi ritocchi a tempera e ad olio. L’attenta osservazione delle superfici dipinte seguita da alcune indagini stratigrafiche ha evidenziato tracce della pittura originale affresco.
La decorazione (m 1,4 x m 12) si presentava in pessimo stato di conservazione, con gravi problemi di adesione e coesione dovuti principalmente all’umidità e all’incuria. La pellicola pittorica era scarsamente coesa per la naturale debolezza della tecnica di esecuzione; in alcune zone circoscritte erano presenti sollevamenti a scaglie e distacchi del colore. I danni maggiori causati da problemi di umidità di risalita avevano creato ampi distacchi dell’intonaco e perdite di pellicola pittorica. Le superfici dipinte erano coperte da uno strato di particellato atmosferico, polveri grasse, cataboliti animali e altre sostanze incoerenti di varia natura quali sostanze organiche e cera. La cromia ne risultava alterata. La parete più danneggiata da tali problemi risultava essere quella a destra.
Come per le altre cappelle, anche per la Cappella del Rosario, l’apparato decorativo è ben studiato e ben eseguito: la tecnica utilizzata sembra essere tempera a caseina.
Molti gli interventi precedenti: stuccature con gesso, cemento, estesi ritocchi a tempera e ad olio. L’attenta osservazione delle superfici dipinte seguita da alcune indagini stratigrafiche ha evidenziato tracce della pittura originale affresco.
(Particolare a sinistra dell'altare prima del restauro)
Particolare a sinistra dell'altare dopo il restauro
Intervento di restauro
Le indagini preliminari dello stato di conservazione, l’osservazione e le analisi dettagliate delle superfici dipinte mediante la visione a luce radente, hanno consentito di progettare il seguente intervento conservativo:
Rimozione dei depositi superficiali incoerenti a secco con pennellesse.
Rimozione dei depositi superficiali parzialmente coerenti a mezzo di spugne sintetiche o
pani di gomma
Trattamento con sostanze biocide per eliminare e prevenire attacchi di microrganismi e organismi biodeteriogeni con applicazione a pennello e a spruzzo.
Consolidamento della coesione della pellicola pittorica mediante applicazione di prodotto consolidante, Primal AC 33 in emulsione a bassa concentrazione applicata a pennello con carta giapponese e successiva pressione a spatola.
Ristabilimento della adesione degli strati pittorici, con resina acrilica in emulsione applicata mediante infiltrazione con siringa e pressione a spatola.
Consolidamento di profondità mediante infiltrazione con siringhe di LedanTB1.
Pulitura e rimozione di incrostazioni, ridipinture e strati aderenti alla pellicola pittorica con applicazione di resine scambiatrici di ioni e miscela di ammoniaca ad impacco e tampone.
Risciacquo con acqua distillata ed applicazione di materiale assorbente per la rimozione di polvere parzialmente aderente al dipinto e di residui delle miscele utilizzate per le operazioni di pulitura.
Rimozione meccanica di stuccature eseguite durante precedenti interventi che per composizione o morfologia sono risultate inidonee alla superficie del dipinto.
Stuccatura di cadute degli strati preparatori con malta idraulica e Polyfilla.
Revisione dei vecchi interventi e reintegrazione di tipo mimetica ad acquarello delle lacune stuccate a livello con il fine di restituire l'unità di lettura cromatica dell'opera.
Protezione superficiale mediante applicazione di resina chetonica in soluzione a bassa concentrazione.
Le indagini preliminari dello stato di conservazione, l’osservazione e le analisi dettagliate delle superfici dipinte mediante la visione a luce radente, hanno consentito di progettare il seguente intervento conservativo:
Rimozione dei depositi superficiali incoerenti a secco con pennellesse.
Rimozione dei depositi superficiali parzialmente coerenti a mezzo di spugne sintetiche o
pani di gomma
Trattamento con sostanze biocide per eliminare e prevenire attacchi di microrganismi e organismi biodeteriogeni con applicazione a pennello e a spruzzo.
Consolidamento della coesione della pellicola pittorica mediante applicazione di prodotto consolidante, Primal AC 33 in emulsione a bassa concentrazione applicata a pennello con carta giapponese e successiva pressione a spatola.
Ristabilimento della adesione degli strati pittorici, con resina acrilica in emulsione applicata mediante infiltrazione con siringa e pressione a spatola.
Consolidamento di profondità mediante infiltrazione con siringhe di LedanTB1.
Pulitura e rimozione di incrostazioni, ridipinture e strati aderenti alla pellicola pittorica con applicazione di resine scambiatrici di ioni e miscela di ammoniaca ad impacco e tampone.
Risciacquo con acqua distillata ed applicazione di materiale assorbente per la rimozione di polvere parzialmente aderente al dipinto e di residui delle miscele utilizzate per le operazioni di pulitura.
Rimozione meccanica di stuccature eseguite durante precedenti interventi che per composizione o morfologia sono risultate inidonee alla superficie del dipinto.
Stuccatura di cadute degli strati preparatori con malta idraulica e Polyfilla.
Revisione dei vecchi interventi e reintegrazione di tipo mimetica ad acquarello delle lacune stuccate a livello con il fine di restituire l'unità di lettura cromatica dell'opera.
Protezione superficiale mediante applicazione di resina chetonica in soluzione a bassa concentrazione.
CAPPELLA PRIMA DEL RESTAURO
CAPPELLA DOPO IL RESTAURO