martedì 6 agosto 2013

6 Agosto 1978: un mio ricordo di Paolo VI




6 agosto 1978, giorno della festa della Trasfigurazione del Signore.
Son passati ben 35 anni, ma forse invecchiando, i ricordi diventano più vividi e forti.
Stavo in vacanza a Castelletta di Fabriano, paese di origine della mia famiglia. Lì, attraverso la televisione, appresi che il Papa, Paolo VI, era morto.
Mi dispiacque, anche perché pur sapendolo malconcio, la notizia giunse inattesa.
Era, per me, il Papa; gli altri non li avevo conosciuti se non per sentito dire, e solo di Giovanni XXIII avevo un vago ricordo, quando passò, sulla la via Tiburtina, per andare a San Basilio.
Mi vennero immediatamente i ricordi che  avevo vissuto incontrandolo, specialmente negli ultimi anni, quando, stando nel seminario romano, gli facevo da ‘chierichetto’.
Una figura ieratica che avevo tanto vicina ma nello stesso tempo, sentivo lontana, quasi appartenesse ad un’altra sfera di vita. Il suo lento parlare tuttavia mi affascinava e lo ascoltavo volentieri.
Spesso, prima della celebrazione di una Messa, arrivava stanco e sofferente, raramente parlava, e a noi seminaristi, dai cerimonieri, era sempre raccomandato di non rivolgere mai, al Papa, la parola.
Qualche volta i nostri sguardi si incrociavano, specialmente, quando, per forza di cose la distanza era ravvicinata, e lui con i suoi occhi chiari mi fissava e poi domandava: ‘di dove sei?’ ‘di Roma, Santo Padre’. Ma il dialogo finiva lì.
Quando il Papa celebrava, tutto doveva esser perfetto, e talvolta, per guardarlo, mi distraevo, fino a combinare guai. Ricordo che una volta inciampai sulla Croce Astile che cadde, e a carambola fece rotolare, candelieri, e accessori liturgici, creando un gran scompiglio.
Il Papa era molto attento affinché la celebrazione fosse perfetta. Ricordo una volta che, avendo accanto il cerimoniere, Mons. Noè, aiutandolo a togliersi i paramenti dopo una celebrazione, disse: ’Oggi, Monsignore, non è andata molto bene, vero?’.
Ma nel contempo, aveva un portamento direi ‘regale’ e uno sguardo ‘paterno’.
Per me era il Papa: vicino e irraggiungibile.
Gli anni passavano. Il Papa diventava sempre più fragile. Fui chiamato a servire la Messa in occasione dei funerali di Stato di Aldo Moro: sabato, 13 maggio 1978. Fu l’ultima volta che lo vidi vivo! Il Papa arrivò, quasi sorretto in sacrestia. Lo adagiarono delicatamente sulla sedia gestatoria e lì lo vestirono dei sacri paramenti. Si vedeva che soffriva molto. Sembrava non riuscisse a camminare.
Fu un assistenza pontificale, nel senso che la Messa la celebrò il Cardinale Poletti, lui fece solo i riti d’ingresso, la predica e la preghiera finale.
Per motivi di sicurezza eravamo solo 4 seminaristi impegnati per il servizio.
Con fatica salì i gradini dell’altare maggiore della Basilica di san Giovanni e, di fronte ad una strana assemblea fatta di soli parlamentari, in una navata semivuota, con una folla immensa fuori dalla Chiesa , esclamò il suo grido di dolore:  E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui preghiamo.

Ma torniamo al 6 agosto 1978. All’annuncio della morte del Papa, seguì una telefonata che invitava noi romani a tornare in seminario per le sue esequie. Dovetti lasciare di gran fretta Castelletta.
Tornai e fui scelto per il servizio liturgico.
Fu per me un onore. Poco prima dell’inizio della celebrazione la Basilica di San Pietro era vuota.
Non c’era più nessuno. I Cardinali erano riuniti in una cappella laterale, tutti gli altri intenti ai preparativi, non c’erano più neppure le guardie svizzere. Allora io ed un mio amico ci avvicinammo alla salma ancora esposta avanti all’altare della Confessione.
Oltrepassammo le transenne, e ci fermammo silenziosi di fianco a quel corpo senza vita, di chi era stato il Papa.
Sentii dentro di me il privilegio di quel momento. Pregai commosso. Accarezzai le mani giunte e la fronte gelida del Papa. Come un bambino gli inviai un ‘bacetto’ e lo affidai al Signore.
Avevo la consapevolezza di avere davanti a me un ‘Grande’ della storia della Chiesa. Colui che aveva guidato la Barca di Pietro in momenti difficili ed imprevedibili. In quel momento era solo, solo nella grande e solenne Basilica Vaticana che lo aveva visto per 16 anni essere il Vescovo di Roma, il Vicario di Cristo in terra, il successore del Primo degli Apostoli. Ma c’ero io con lui, io, il mio amico seminarista e la Chiesa che con noi pregava.
Seguì il funerale. Lo ricordo come fosse oggi: le parole del Cardinale Confalonieri; le persone che pregavano; i canti della Cappella Sistina; la bara semplice ed umile fatta di tavole di legno mal lavorate; l’incensazione finale;  l’addio dietro la porta che lo avrebbe tolto per sempre dai miei e dagli occhi del mondo.
Si! c’ero anche io, in quella piazza in un torrido giorno di agosto a dire: tu sei Pietro.



Il chierico di sinistra sono io.... fu un grande privilegio per me esserci.

TESTAMENTO DI PAPA PAOLO VI

Alcune note
 per il mio testamento
In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.
1. Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce.
Dinanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita.
Parimente sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita, da Te, o Signore, elargitimi: chi nella vita mi ha introdotto (oh! siano benedetti i miei degnissimi Genitori!), chi mi ha educato, benvoluto, beneficato, aiutato, circondato di buoni esempi, di cure, di affetto, di fiducia, di bontà, di cortesia, di amicizia, di fedeltà, di ossequio. Guardo con riconoscenza ai rapporti naturali e spirituali che hanno dato origine, assistenza, conforto, significato alla mia umile esistenza: quanti doni, quante cose belle ed alte, quanta speranza ho io ricevuto in questo mondo!
Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? Come celebrare degnamente la tua bontà, o Signore, per essere io stato inserito, appena entrato in questo mondo, nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica? Come per essere stato chiamato ed iniziato al Sacerdozio di Cristo? Come per aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio, e d’aver avuto l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa, a Roma specialmente, accanto al Papa, poi a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo, e finalmente su questa suprema e formidabile e santissima di San Pietro? In aeternum Domini misericordias cantabo.
Siano salutati e benedetti tutti quelli che io ho incontrati nel mio pellegrinaggio terreno; coloro che mi furono collaboratori, consiglieri ed amici - e tanti furono, e così buoni e generosi e cari!
benedetti coloro che accolsero il mio ministero, e che mi furono figli e fratelli in nostro Signore!
A voi, Lodovico e Francesco, fratelli di sangue e di spirito, e a voi tutti carissimi di casa mia, che nulla a me avete chiesto, né da me avuto di terreno favore, e che mi avete sempre dato esempio di virtù umane e cristiane, che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità, e che soprattutto mi avete aiutato a cercare nella vita presente la via verso quella futura, sia la mia pace e la mia benedizione.
Il pensiero si volge indietro e si allarga d’intorno; e ben so che non sarebbe felice questo commiato, se non avesse memoria del perdono da chiedere a quanti io avessi offeso, non servito, non abbastanza amato; e del perdono altresì che qualcuno desiderasse da me. Che la pace del Signore sia con noi.
E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore.
A te, Roma, diocesi di San Pietro e del Vicario di Cristo, dilettissima a questo ultimo servo dei servi di Dio, la mia benedizione più paterna e più piena, affinché Tu Urbe dell’orbe, sia sempre memore della tua misteriosa vocazione, e con umana virtù e con fede cristiana sappia rispondere, per quanto sarà lunga la storia del mondo, alla tua spirituale e universale missione.
Ed a Voi tutti, venerati Fratelli nell’Episcopato, il mio cordiale e riverente saluto; sono con voi nell’unica fede, nella medesima carità, nel comune impegno apostolico, nel solidale servizio al Vangelo, per l’edificazione della Chiesa di Cristo e per la salvezza dell’intera umanità. Ai Sacerdoti tutti, ai Religiosi e alle Religiose, agli Alunni dei nostri Seminari, ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore.
E così, con particolare riverenza e riconoscenza ai Signori Cardinali ed a tutta la Curia romana: davanti a voi, che mi circondate più da vicino, professo solennemente la nostra Fede, dichiaro la nostra Speranza, celebro la Carità che non muore, accettando umilmente dalla divina volontà la morte che mi è destinata, invocando la grande misericordia del Signore, implorando la clemente intercessione di Maria santissima, degli Angeli e dei anti, e raccomandando l’anima mia al suffragio dei buoni.
2. Nomino la Santa Sede mio erede universale: mi obbligano a ciò dovere, gratitudine, amore. Salvo le disposizioni qui sotto indicate.
3. Sia esecutore testamentario il mio Segretario privato. Egli vorrà consigliarsi con la Segreteria di Stato e uniformarsi alle norme giuridiche vigenti e alle buone usanze ecclesiastiche.
4. Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo.
Per quanto riguarda cose mobili e immobili di mia personale proprietà, che ancora restassero di provenienza familiare, ne dispongano i miei Fratelli Lodovico e Francesco liberamente; li prego di qualche suffragio per l’anima mia e per quelle dei nostri Defunti. Vogliano erogare qualche elemosina a persone bisognose o ad opere buone. Tengano per sé, e diano a chi merita e desidera qualche ricordo dalle cose, o dagli oggetti religiosi, o dai libri di mia appartenenza. Distruggano note, quaderni, corrispondenza, scritti miei personali.
Delle altre cose che si possano dire mie proprie: disponga, come esecutore testamentario, il mio Segretario privato, tenendo qualche ricordo per sé, e dando alle persone più amiche qualche piccolo oggetto in memoria. Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano; e che della corrispondenza ricevuta, di carattere spirituale e riservato, fosse bruciato quanto non era destinato all’altrui conoscenza.
Nel caso che l’esecutore testamentario a ciò non possa provvedere, voglia assumerne incarico la Segreteria di Stato.
5. Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile.
Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso).
La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.
6. E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante. Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore. Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo : si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica. Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.
Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina Bontà. Ancora benedico tutti. Roma specialmente, Milano e Brescia. Alla Terra santa, la Terra di Gesù, dove fui pellegrino di fede e di pace, uno speciale benedicente saluto.
E alla Chiesa, alla dilettissima Chiesa cattolica, all’umanità intera, la mia apostolica benedizione.
Poi: in manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Ego: Paulus PP. VI.
Dato a Roma, presso S. Pietro, il 30 giugno 1965, anno III del nostro Pontificato.
Note complementari
al mio testamento
In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Magnificat anima mea Dominum. Maria!
Credo. Spero. Amo.
Ringrazio quanti mi hanno fatto del bene.
Chiedo perdono a quanti io avessi non fatto del bene. A tutti io do nel Signore la pace.
Saluto il carissimo Fratello Lodovico e tutti i miei familiari e parenti e amici, e quanti hanno accolto il mio ministero. A tutti i collaboratori, grazie. Alla Segreteria di Stato particolarmente.
Benedico con speciale carità Brescia, Milano, Roma, la Chiesa intera. Quam diletta tabernacula tua, Domine!
Ogni mia cosa sia della Santa Sede.
Provveda il mio Segretario particolare, il caro Don Pasquale Macchi, a disporre per qualche suffragio e qualche beneficenza, e ad assegnare qualche ricordo fra libri e oggetti a me appartenuti a sé e a persone care.
Non desidero alcuna tomba speciale.
Qualche preghiera affinché Dio mi usi misericordia.
In Te, Domine, speravi. Amen, alleluia.
A tutti la mia benedizione, in nomine Domini.
PAULUS PP. VI
Castel Gandolfo, 16 settembre 1972, ore 7,30.
Aggiunta
alle mie disposizioni testamentarie
Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tomba speciale, né alcun monumento. Qualche suffragio (beneficenze e preghiere).
PAULUS PP. VI

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