mercoledì 28 agosto 2013

Sant'Agostino

 
 
Oggi è la festa dei nostri amici di Gesù e Maria.
 
Questa è una preghiera del loro Santo Padre


 Signore, rendici veritieri senza arroganza,...
umili senza finzione,
allegri senza leggerezza,
seri ma senza disperazione, giusti senza presunzione,
severi senza cattiveria,
forti senza crudeltà,
buoni senza mollezza,
misericordiosi senza lasciar fare,
miti senza ostentazione,
pacifici senza falsità,
vigilanti senza ossessione,
sani senza torpore,
sicuri senza follia,
poveri senza miseria,
ricchi senza avarizia,
prudenti senza sospetto.
Amen

venerdì 9 agosto 2013

LETTERA DI UN ( ANZIANO) PADRE AL FIGLIO.






Anche in Facebook a volte si trovano stralci di riflessione. Ne ho trovato oggi uno che mi ha commosso.
In una società che cerca solo l'efficenza e la produttività, fermarsi sul valore del'amore verso il 'prossimo' e stavolta intendo quello che ti sta 'proprio accanto' e che ti 'ha amato più di ogni cosa', fa veramente bene.

Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc; quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio.

mercoledì 7 agosto 2013

I NOSTRI SANTI: San Gaetano Thiene Sacerdote


Di origine nobiliare, nacque a Vicenza nel 1480 dal conte Gasparo e da Maria da Porto; gli fu dato il nome di Gaetano in onore di un suo zio, famoso canonico e professore all'Università di Padova, nativo di Gaeta. Perse in giovanissima età il padre, morto nel 1492, e la sua educazione venne curata dalla madre.
Studiò diritto all'Università di Padova e il 17 luglio 1504 conseguì la laurea in utroque iure. Pur essendo iscritto all'albo degli avvocati, Gaetano non esercitò mai tale professione, preferendo indirizzarsi verso lo stato di religioso. Entrò infatti subito nello stato clericale ricevendo la tonsura da Pietro Dandolo, vescovo di Vicenza; il suo desiderio di divenire sacerdote era, però, contrario a quello di sua madre che, avendo già perduto due figli maschi, aveva riposto in lui le speranze di veder proseguire nel tempo la famiglia.
Nel 1505, animato da grande spirito religioso, Gaetano si fece promotore dell'edificazione della chiesa di Santa Maria Maddalena a Rampazzo nella tenuta di famiglia, tuttora esistente.
Nel 1507 si stabilì a Roma, dove prese dimora assieme al futuro cardinale Giovanni Battista Pallavicini, vescovo di Cavaillon, presso la chiesa di San Simeone ai Coronari. Gli furono concessi poi i benefici ecclesiastici delle chiese di Santa Maria di Malo e Santa Maria di Bressanvido. Presso la Curia Romana ricoprì gli incarichi di scrittore delle lettere pontificie e protonotario apostolico ed ebbe un ruolo notevole nel riportare la pace tra la Santa Sede e la Repubblica di Venezia, dopo la guerra della Lega di Cambrai; si guadagnò la stima di papa Giulio II, che in un breve si rivolse a Gaetano come a un "figlio diletto" e "nostro famigliare".

A Roma, Gaetano si iscrisse all'Oratorio del Divino Amore e partecipò attivamente alle riunioni che si tenevano nella chiesa di Santa Dorotea presso l'ospedale di San Giacomo degli Incurabili. Ottenuta una particolare dispensa da papa Leone X, tra il 27 e il 29 settembre 1516 ricevette gli ordini minori e il diaconato; mentre il 30 settembre successivo, in occasione della festa di san Girolamo (patrono del suo casato), venne ordinato sacerdote da Francesco Bertoli, vescovo di Milopotamo, nella cappella privata del presule. Gaetano celebrò la sua prima messa solo nell'Epifania del 1517.

Fece ritorno nella sua nativa Vicenza nel 1519; entrò nella compagnia dei Santi Clemente e Girolamo e ristrutturò l'ospedale della Misericordia, che fece aggregare all'ospedale di San Giacomo; trasferitosi a Verona, si aggregò alla compagnia del Santissimo Corpo di Cristo e fondò un nuovo ospedale degli incurabili.
Tornò a Roma nel 1527; assieme a Gian Pietro Carafa (futuro papa Paolo IV), Bonifacio de' Colli e Paolo Consiglieri, suoi compagni all'Oratorio del Divino Amore, decise di formare una nuova fraternità di sacerdoti con il fine di riformare il clero e di restaurare e applicare una regola primitiva di vita apostolica; papa Clemente VII, con il breve Exponi nobis (24 giugno 1524) permise loro di prendere i voti e condurre vita fraterna in comunità e il 14 settembre successivo, nella basilica di San Pietro, Gaetano e i suoi compagni fecero la loro professione nelle mani del vescovo di Caserta Giovan Battista Boncianni, delegato papale.
Pur non essendo questo il loro proposito, Gaetano e i compagni andarono a costituire un nuovo ordine religioso, il primo degli ordini di chierici regolari sorti durante il periodo della Controriforma; essendo Gian Pietro Carafa vescovo di Chieti (in latino Theate), i membri dell'ordine vennero detti teatini.
Gaetano e i suoi ormai dodici compagni subirono la prigionia durante il sacco di Roma del 1527 nella Torre dell'Orologio in Vaticano da dove riuscirono provvidenzialmente a fuggire per Venezia, stabilendosi presso la chiesa di San Nicola dei Tolentini; il 14 settembre 1527 Gaetano venne eletto preposito generale dell'ordine.
Nel 1533, insieme a Giovanni Marinoni, si recò a Napoli per fondarvi una casa dell'ordine; il viceré Pedro de Toledo, nel 1538, concesse loro la basilica di San Paolo Maggiore. A Napoli Gaetano curò la formazione dei sacerdoti impegnati nel locale ospedale degl'Incurabili; fu correttore della compagnia dei Bianchi; diresse il monastero delle domenicane della Sapienza (fondato da Maria Carafa, sorella di Gian Pietro); guidò Maria Lorenza Longo nella fondazione delle monache Cappuccine; contrastò la diffusione delle dottrine eterodosse introdotte in città da Bernardino Ochino, Pier Martire Vermigli e Juan de Valdés.
Tra il 1540 e il 1543 fu preposito della comunità teatina di Venezia, poi tornò a Napoli, dove si spense nel 1547.

Le procedure canoniche per la beatificazione di Gaetano di Thiene vennero avviate agli inizi del XVII secolo e si conclusero ad opera di papa Urbano VIII, che lo elevò all'onore degli altari l'8 ottobre 1629.
Venne proclamato santo, con decreto del 12 novembre 1670, da papa Clemente X il 12 aprile 1671. Nella stessa cerimonia vennero proclamati santi anche Rosa da Lima, Luigi Bertrando, Francesco Borgia e Filippo Benizi.
La sua memoria liturgica è fissata al 7 agosto e nel 1673 la sua festa venne estesa alla Chiesa universale.
È invocato come il "Santo della Provvidenza". In occasione del IV centenario della sua nascita papa Pio XII sintetizzò la sua spiritualità definendolo «...acceso apostolo del divino Amore e campione insigne dell'umana carità».
È patrono e titolare delle congregazioni delle Povere Figlie di San Gaetano, delle Suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene e della Pia Società di San Gaetano.

Fonte: http://it.wikipedia.org

martedì 6 agosto 2013

MEDITAZIONI DI PAPA FRANCESCO NELLE MESSE QUOTIDIANE CELEBRATE NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Durante questo periodo di relativo riposo, si possono leggere le meditazioni di Papa Francesco che ha tenuto durante la Messa celebrata la mattina a Santa Marta. Piccole e grandi catechesi incisive per la nostra vita di cristiani.





6 Agosto 1978: un mio ricordo di Paolo VI




6 agosto 1978, giorno della festa della Trasfigurazione del Signore.
Son passati ben 35 anni, ma forse invecchiando, i ricordi diventano più vividi e forti.
Stavo in vacanza a Castelletta di Fabriano, paese di origine della mia famiglia. Lì, attraverso la televisione, appresi che il Papa, Paolo VI, era morto.
Mi dispiacque, anche perché pur sapendolo malconcio, la notizia giunse inattesa.
Era, per me, il Papa; gli altri non li avevo conosciuti se non per sentito dire, e solo di Giovanni XXIII avevo un vago ricordo, quando passò, sulla la via Tiburtina, per andare a San Basilio.
Mi vennero immediatamente i ricordi che  avevo vissuto incontrandolo, specialmente negli ultimi anni, quando, stando nel seminario romano, gli facevo da ‘chierichetto’.
Una figura ieratica che avevo tanto vicina ma nello stesso tempo, sentivo lontana, quasi appartenesse ad un’altra sfera di vita. Il suo lento parlare tuttavia mi affascinava e lo ascoltavo volentieri.
Spesso, prima della celebrazione di una Messa, arrivava stanco e sofferente, raramente parlava, e a noi seminaristi, dai cerimonieri, era sempre raccomandato di non rivolgere mai, al Papa, la parola.
Qualche volta i nostri sguardi si incrociavano, specialmente, quando, per forza di cose la distanza era ravvicinata, e lui con i suoi occhi chiari mi fissava e poi domandava: ‘di dove sei?’ ‘di Roma, Santo Padre’. Ma il dialogo finiva lì.
Quando il Papa celebrava, tutto doveva esser perfetto, e talvolta, per guardarlo, mi distraevo, fino a combinare guai. Ricordo che una volta inciampai sulla Croce Astile che cadde, e a carambola fece rotolare, candelieri, e accessori liturgici, creando un gran scompiglio.
Il Papa era molto attento affinché la celebrazione fosse perfetta. Ricordo una volta che, avendo accanto il cerimoniere, Mons. Noè, aiutandolo a togliersi i paramenti dopo una celebrazione, disse: ’Oggi, Monsignore, non è andata molto bene, vero?’.
Ma nel contempo, aveva un portamento direi ‘regale’ e uno sguardo ‘paterno’.
Per me era il Papa: vicino e irraggiungibile.
Gli anni passavano. Il Papa diventava sempre più fragile. Fui chiamato a servire la Messa in occasione dei funerali di Stato di Aldo Moro: sabato, 13 maggio 1978. Fu l’ultima volta che lo vidi vivo! Il Papa arrivò, quasi sorretto in sacrestia. Lo adagiarono delicatamente sulla sedia gestatoria e lì lo vestirono dei sacri paramenti. Si vedeva che soffriva molto. Sembrava non riuscisse a camminare.
Fu un assistenza pontificale, nel senso che la Messa la celebrò il Cardinale Poletti, lui fece solo i riti d’ingresso, la predica e la preghiera finale.
Per motivi di sicurezza eravamo solo 4 seminaristi impegnati per il servizio.
Con fatica salì i gradini dell’altare maggiore della Basilica di san Giovanni e, di fronte ad una strana assemblea fatta di soli parlamentari, in una navata semivuota, con una folla immensa fuori dalla Chiesa , esclamò il suo grido di dolore:  E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui preghiamo.

Ma torniamo al 6 agosto 1978. All’annuncio della morte del Papa, seguì una telefonata che invitava noi romani a tornare in seminario per le sue esequie. Dovetti lasciare di gran fretta Castelletta.
Tornai e fui scelto per il servizio liturgico.
Fu per me un onore. Poco prima dell’inizio della celebrazione la Basilica di San Pietro era vuota.
Non c’era più nessuno. I Cardinali erano riuniti in una cappella laterale, tutti gli altri intenti ai preparativi, non c’erano più neppure le guardie svizzere. Allora io ed un mio amico ci avvicinammo alla salma ancora esposta avanti all’altare della Confessione.
Oltrepassammo le transenne, e ci fermammo silenziosi di fianco a quel corpo senza vita, di chi era stato il Papa.
Sentii dentro di me il privilegio di quel momento. Pregai commosso. Accarezzai le mani giunte e la fronte gelida del Papa. Come un bambino gli inviai un ‘bacetto’ e lo affidai al Signore.
Avevo la consapevolezza di avere davanti a me un ‘Grande’ della storia della Chiesa. Colui che aveva guidato la Barca di Pietro in momenti difficili ed imprevedibili. In quel momento era solo, solo nella grande e solenne Basilica Vaticana che lo aveva visto per 16 anni essere il Vescovo di Roma, il Vicario di Cristo in terra, il successore del Primo degli Apostoli. Ma c’ero io con lui, io, il mio amico seminarista e la Chiesa che con noi pregava.
Seguì il funerale. Lo ricordo come fosse oggi: le parole del Cardinale Confalonieri; le persone che pregavano; i canti della Cappella Sistina; la bara semplice ed umile fatta di tavole di legno mal lavorate; l’incensazione finale;  l’addio dietro la porta che lo avrebbe tolto per sempre dai miei e dagli occhi del mondo.
Si! c’ero anche io, in quella piazza in un torrido giorno di agosto a dire: tu sei Pietro.



Il chierico di sinistra sono io.... fu un grande privilegio per me esserci.

TESTAMENTO DI PAPA PAOLO VI

Alcune note
 per il mio testamento
In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.
1. Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce.
Dinanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita.
Parimente sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita, da Te, o Signore, elargitimi: chi nella vita mi ha introdotto (oh! siano benedetti i miei degnissimi Genitori!), chi mi ha educato, benvoluto, beneficato, aiutato, circondato di buoni esempi, di cure, di affetto, di fiducia, di bontà, di cortesia, di amicizia, di fedeltà, di ossequio. Guardo con riconoscenza ai rapporti naturali e spirituali che hanno dato origine, assistenza, conforto, significato alla mia umile esistenza: quanti doni, quante cose belle ed alte, quanta speranza ho io ricevuto in questo mondo!
Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? Come celebrare degnamente la tua bontà, o Signore, per essere io stato inserito, appena entrato in questo mondo, nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica? Come per essere stato chiamato ed iniziato al Sacerdozio di Cristo? Come per aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio, e d’aver avuto l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa, a Roma specialmente, accanto al Papa, poi a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo, e finalmente su questa suprema e formidabile e santissima di San Pietro? In aeternum Domini misericordias cantabo.
Siano salutati e benedetti tutti quelli che io ho incontrati nel mio pellegrinaggio terreno; coloro che mi furono collaboratori, consiglieri ed amici - e tanti furono, e così buoni e generosi e cari!
benedetti coloro che accolsero il mio ministero, e che mi furono figli e fratelli in nostro Signore!
A voi, Lodovico e Francesco, fratelli di sangue e di spirito, e a voi tutti carissimi di casa mia, che nulla a me avete chiesto, né da me avuto di terreno favore, e che mi avete sempre dato esempio di virtù umane e cristiane, che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità, e che soprattutto mi avete aiutato a cercare nella vita presente la via verso quella futura, sia la mia pace e la mia benedizione.
Il pensiero si volge indietro e si allarga d’intorno; e ben so che non sarebbe felice questo commiato, se non avesse memoria del perdono da chiedere a quanti io avessi offeso, non servito, non abbastanza amato; e del perdono altresì che qualcuno desiderasse da me. Che la pace del Signore sia con noi.
E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore.
A te, Roma, diocesi di San Pietro e del Vicario di Cristo, dilettissima a questo ultimo servo dei servi di Dio, la mia benedizione più paterna e più piena, affinché Tu Urbe dell’orbe, sia sempre memore della tua misteriosa vocazione, e con umana virtù e con fede cristiana sappia rispondere, per quanto sarà lunga la storia del mondo, alla tua spirituale e universale missione.
Ed a Voi tutti, venerati Fratelli nell’Episcopato, il mio cordiale e riverente saluto; sono con voi nell’unica fede, nella medesima carità, nel comune impegno apostolico, nel solidale servizio al Vangelo, per l’edificazione della Chiesa di Cristo e per la salvezza dell’intera umanità. Ai Sacerdoti tutti, ai Religiosi e alle Religiose, agli Alunni dei nostri Seminari, ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore.
E così, con particolare riverenza e riconoscenza ai Signori Cardinali ed a tutta la Curia romana: davanti a voi, che mi circondate più da vicino, professo solennemente la nostra Fede, dichiaro la nostra Speranza, celebro la Carità che non muore, accettando umilmente dalla divina volontà la morte che mi è destinata, invocando la grande misericordia del Signore, implorando la clemente intercessione di Maria santissima, degli Angeli e dei anti, e raccomandando l’anima mia al suffragio dei buoni.
2. Nomino la Santa Sede mio erede universale: mi obbligano a ciò dovere, gratitudine, amore. Salvo le disposizioni qui sotto indicate.
3. Sia esecutore testamentario il mio Segretario privato. Egli vorrà consigliarsi con la Segreteria di Stato e uniformarsi alle norme giuridiche vigenti e alle buone usanze ecclesiastiche.
4. Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo.
Per quanto riguarda cose mobili e immobili di mia personale proprietà, che ancora restassero di provenienza familiare, ne dispongano i miei Fratelli Lodovico e Francesco liberamente; li prego di qualche suffragio per l’anima mia e per quelle dei nostri Defunti. Vogliano erogare qualche elemosina a persone bisognose o ad opere buone. Tengano per sé, e diano a chi merita e desidera qualche ricordo dalle cose, o dagli oggetti religiosi, o dai libri di mia appartenenza. Distruggano note, quaderni, corrispondenza, scritti miei personali.
Delle altre cose che si possano dire mie proprie: disponga, come esecutore testamentario, il mio Segretario privato, tenendo qualche ricordo per sé, e dando alle persone più amiche qualche piccolo oggetto in memoria. Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano; e che della corrispondenza ricevuta, di carattere spirituale e riservato, fosse bruciato quanto non era destinato all’altrui conoscenza.
Nel caso che l’esecutore testamentario a ciò non possa provvedere, voglia assumerne incarico la Segreteria di Stato.
5. Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile.
Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso).
La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.
6. E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante. Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore. Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo : si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica. Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.
Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina Bontà. Ancora benedico tutti. Roma specialmente, Milano e Brescia. Alla Terra santa, la Terra di Gesù, dove fui pellegrino di fede e di pace, uno speciale benedicente saluto.
E alla Chiesa, alla dilettissima Chiesa cattolica, all’umanità intera, la mia apostolica benedizione.
Poi: in manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Ego: Paulus PP. VI.
Dato a Roma, presso S. Pietro, il 30 giugno 1965, anno III del nostro Pontificato.
Note complementari
al mio testamento
In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Magnificat anima mea Dominum. Maria!
Credo. Spero. Amo.
Ringrazio quanti mi hanno fatto del bene.
Chiedo perdono a quanti io avessi non fatto del bene. A tutti io do nel Signore la pace.
Saluto il carissimo Fratello Lodovico e tutti i miei familiari e parenti e amici, e quanti hanno accolto il mio ministero. A tutti i collaboratori, grazie. Alla Segreteria di Stato particolarmente.
Benedico con speciale carità Brescia, Milano, Roma, la Chiesa intera. Quam diletta tabernacula tua, Domine!
Ogni mia cosa sia della Santa Sede.
Provveda il mio Segretario particolare, il caro Don Pasquale Macchi, a disporre per qualche suffragio e qualche beneficenza, e ad assegnare qualche ricordo fra libri e oggetti a me appartenuti a sé e a persone care.
Non desidero alcuna tomba speciale.
Qualche preghiera affinché Dio mi usi misericordia.
In Te, Domine, speravi. Amen, alleluia.
A tutti la mia benedizione, in nomine Domini.
PAULUS PP. VI
Castel Gandolfo, 16 settembre 1972, ore 7,30.
Aggiunta
alle mie disposizioni testamentarie
Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tomba speciale, né alcun monumento. Qualche suffragio (beneficenze e preghiere).
PAULUS PP. VI

domenica 4 agosto 2013

25.000



Bhè per tanti siti è un inezia, ma per noi una bella soddisfazione:
abbiamo raggiunto quaota 25.000 accessi.
Una piccola cittadina che ha sbircitato sul blog della nostra parrocchia.
Sursum Corda.

sabato 3 agosto 2013

San Giovanni Maria Vianney Sacerdote


Oggi festa del curato d'Ars. A chi capitasse di leggere questo blog, una preghierina per il suo parroco.

Giovanni Maria Vianney nacque l'8 maggio 1786 a Dardilly, Lione, in Francia. Di famiglia contadina e privo della prima formazione, riuscì, nell'agosto 1815, ad essere ordinato sacerdote.Per farlo sacerdote, ci volle tutta la tenacia dell'abbé Charles Balley, parroco di Ecully, presso Lione: lo avviò al seminario, lo riaccolse quando venne sospeso dagli studi. Giovanni Maria Vianney, appena prete, tornò a Ecully come vicario dell'abbé Balley. Alla morte di Balley, fu mandato ad Ars-en-Dombes, un borgo con meno di trecento abitanti. Giovanni Maria Vianney, noto come il curato d'Ars, si dedicò all'evangelizzazione, attraverso l'esempio della sua bontà e carità. Ma fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del suo compito.Trascorreva le giornate dedicandosi a celebrare la Messa e a confessare, senza risparmiarsi. Morì nel 1859. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Verrà indicato modello e patrono del clero parrocchiale. 
 

Martirologio Romano: Memoria di san Giovanni Maria Vianney, sacerdote, che per oltre quarant’anni guidò in modo mirabile la parrocchia a lui affidata nel villaggio di Ars vicino a Belley in Francia, con l’assidua predicazione, la preghiera e una vita di penitenza. Ogni giorno nella catechesi che impartiva a bambini e adulti, nella riconciliazione che amministrava ai penitenti e nelle opere pervase di quell’ardente carità, che egli attingeva dalla santa Eucaristia come da una fonte, avanzò a tal punto da diffondere in ogni dove il suo consiglio e avvicinare saggiamente tanti a Dio

Vanità delle vanità, dice Qoèlet




Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!

venerdì 2 agosto 2013

I piccioni di San Giacomo e San Francesco





Sembrava una storia senza fine.
Oltre un mese fa, se non due, mi accorgo che pur tenendo le il finestrone che sovrasta la navata centrale della chiesa serrato, un piccione allegro svolazzata per la volta della cupola, da un cornicione ad un altro.
Il sospetto era che fosse entrato dal portone d’ingresso  aperto, cosa difficile, ma possibile.
Di sera mando il povero padre Zè ad aprire il finestrone e con gran sollievo vedo che il piccione esce velocemente.
La mattina successiva i piccioni erano due. Spensierati volteggiavano da un cornicione ad un altro della cupola animando vivacemente la ‘disputa in Paradiso’ del Capponi.
Un altro sospetto diveniva realtà: dopo una mattinata di perlustrazioni, appostamenti, ricognizioni interne ed esterne con il binocolo avevamo appurato che  i piccioni avevano trovato un’apertura, da un vetro rotto del lucernario di destra. E non solo, ma altri vetri apparivano non in buono stato o lesionati.
Era una coppia di piccioni.
Abbiamo dovuto lasciare il finestrone aperto per evitare quanti più danni possibili. Evidentemente era una coppia molto unita e ‘gelosa’: ho assistito a violente cariche su qualche ‘intruso’  della loro specie che aveva osato entrare in chiesa, fino al suo allontanamento.
Nel frattempo ho dovuto ingaggiare  una ditta per sistemare la vetrata. Ma il tempo passa molto velocemente e la coppia ha avuto il tempo di fare il nido, deporre le uova, e, una bella mattina, ci siamo trovati allietati da striduli richiami di pulcini affamati.
Durante i 5 giorni della lavorazione delle vetrate i genitori si son dati ben da fare a nutrire i piccoli che, probabilmente, ben nutriti, son cresciuti in fretta. Ogni volta che entravano i genitori era una festa: e il loro battere di ali, che dimostrava  la loro felicità, si trasformava  in nubi di polvere che, accumulata in centinaia di anni, dai cornicioni scendeva in chiesa.
Nel triduo di san Giacomo è stato un tormento:  almeno due volte al giorno bisognava spolverare i banchi e pulire il pavimento. Ma abbiamo chiuso il finestrone. Erano rimasti in tre. Dopo un giorno di digiuno, appena aperto il finestrone, preso dai morsi della fame, l’ultimo genitore esce in  gran fretta.
Richiudiamo il finestrone. Rimanevano  i due piccoli ai quali era appena stato insegnato il volo e si allenavano, volteggiando  da un cornicione all’altro.
Quattro giorni di volo e di gran fame non potendo trovare, credo, il modo per  mangiare o bere. Sempre vicini, in coppia, ieri sera l’ ho visti stremati ed hanno iniziato a scendere di altezza, arrivando nel presbiterio ed appoggiandosi anche sulla croce del tabernacolo del Maderno.
Attendevo che si appoggiassero su pavimento per sfinimento.
Ma nulla. Anche stamattina, se pur stremati li ho visti volteggiare tra organo e candelieri, sempre uno accanto all’altro. Poi mi accorgo che tutti e due si infilano in un finestrone aperto del presbiterio con la rete di protezione esterna.
Eccoli lì. Ci siamo! Velocemente chiudo il finestrone e rimangono intrappolati tutti e due all’esterno: tra il vetro chiuso e la rete.
Sistemati. Occhio non vede, cuore non duole.
Ma…..  mi doleva eccome. Immaginavo la sofferenza dei due pulcinotti, in un angusto spazio, sotto i raggi del sole cocente. Quale terribile fine!
Non ce l’ho fatta. Neanche una ventina di minuti ho riaperto la finestra.
Immediatamente risaliti mi guardavano quasi per ringraziarmi.
‘E sia. Sarà quel che sarà.’
Nel frattempo sono andato  in ufficio per preparare l’avviso della Perdonanza di Assisi.
Trovo un immagine di San Francesco da inserire e penso: ‘A san Francè…. Ma sti uccelli?’
Finito il lavoro mi affaccio in chiesa, come faccio di tanto in tanto,  per dare una sorvegliata e che vedo?
I due piccioni sono sul gradino esterno dell’entrata.
‘Non è possiblie!!!’ Di corsa, per quel che posso correre io, chiudo la vetrata. Dopo aver fatto diversi tentativi per rientrare  si son appollaiati sul davanzale della finestra di fronte alla Chiesa.
Io in piedi davanti alla porta. Mi guardavano. Non so se mi hanno odiato, ma davano l’impressione di voler rientrare. Siamo stati così per oltre mezz’ora,  quando,  un piccione in velocità, è passato tra di noi e tutti e due emettendo un verso stridulo, ancora da cuccioli, lo hanno seguito fin sopra il tetto della Chiesa e liberi si son librati nell’aria. Era un genitore? Hanno seguito un loro simile?  Non so. Ma …… benedetto sia  San Francesco.