sabato 8 marzo 2014

Riflessione Quaresimale


Ma quando dai una moneta al povero, lo guardi negli occhi?( Papa Francesco)

Leggo una riflessione su FB e mi ha fatto tanto piacere che a farla sia stata mia nipote Anna Chiara, vorrei qui condividerla con voi.

Metro Flaminio. Percorro il lungo sottopassaggio sempre in corsa forsennata, carica come un mulo. Stamattina, però, ho dovuto rallentare, perché il ragazzo davanti a me si era fermato all'improvviso. Quasi infastidita, ho superato e mi sono girata a guardare il perché di tanta calma. Il ragazzo, umilmente vestito, aveva preso un euro dal portafogli per darlo, con uno sguardo pieno di comprensione e solidarietà, all'uomo mutilato che ogni mattina, a terra, attende qualche spicciolo dai passanti. Quegli occhi neri, così onesti e buoni che solo le persone di colore hanno, devono aver colpito non solo me, ma anche l'uomo a terra, perché al gesto di carità, lo ha fissato intensamente, portandosi la mano sul petto. L'intera scena, in 5 secondi. E nei successivi 5, io capisco, innanzitutto, che correndo freneticamente rimaniamo indifferenti a tante cose intorno a noi e, inoltre, la morale della mia giornata: chi meno ha, più dà.

Lettera all'inizio della Quaresima



Roma 5 marzo 2014
Mercoledì delle Ceneri



Con la Quaresima, entriamo nel cuore della nostra vita liturgica e di fede. Il punto di arrivo sarà la celebrazione della passione, morte e resurrezione di Gesù. A questo evento, che viene riattualizzato con la festa della Pasqua dobbiamo prepararci lasciandoci aiutare dal cammino di fede che la Liturgia ci propone. Non celebreremo il ricordo della Pasqua, ma vivremo la Pasqua del Signore e la nostra Pasqua: il nostro passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia. Il nostro battesimo. Diremo al Signore Risorto: ‘Cristo tu ci sei necessario’ e dal lui troveremo la forza e la responsabilità del Suo annuncio nella vita quotidiana. Per questo motivo, la quaresima, è un tempo in cui siamo invitati a cercare e trovare Dio, cercare e trovare gli altri, cercare e trovare noi stessi.
E' tempo di preghiera, è tempo di digiuno, è tempo di conversione, è tempo di penitenza, è tempo di carità.
Tempo di la preghiera dunque: dice il Signore: “Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.” Non dovrebbe passare giorno in cui non abbiamo trascorso un po' del nostro tempo con Dio. Stare con Lui significa ascoltarlo, verificare la nostra vita, trovare la forza per operare il bene, invocarlo nei momenti di smarrimento, ringraziarlo nei momenti di gioia.
Preghiera personale: le occasioni dobbiamo cercarcele, dobbiamo progettarcele. Saperci fermare e nella turbolenta vita di ogni giorno, saper stare almeno dieci minuti con Dio.
Sembrano pochi, dieci minuti, ma se non ci organizziamo, non riusciamo a trovare neppure quelli.
Leggere un brano della Parola di Dio, magari la lettura della Messa del giorno; oppure rivolgerci al Signore mediante una sua immagine che collochiamo in casa; oppure nel modo più semplice dicendo solo una posta del rosario (un Mistero del rosario: Un padre nostro 10 ave Maria e un Gloria al Padre) ….
Preghiera comunitaria: deve diventare, in questo periodo, più intensa.
La domenica, giorno del Signore, scandirà i passi del nostro cammino: la Parola di Dio, che ascolteremo, ci proporrà gli obiettivi da raggiungere e, il pane eucaristico che riceveremo, ci sarà di sostegno nel nostro impegno. Sempre, ma soprattutto in questo periodo, dovremo partecipare alla Messa come ‘Fulcro del Giorno del Signore’. Molte volte, presi da tanti impegni, da tanti lavori, la tralasciamo. Il Signore viene sempre dopo tutte le altre cose. Dobbiamo, allora, cercare di dare una giusta priorità ai valori. In questo modo potremo riappropriarci della nostra vita Battesimale: Siamo stati Battezzati e dobbiamo ogni giorno di più esser consapevoli di quanto ci è stato donato con l’intimità  con Dio e con la testimonianza concreta. Dobbiamo vivere la gioia del nostro Battesimo e l’Eucarestia sarà la ‘forza’, ‘il nutrimento’, ‘l’unione sacramentale con Cristo’ per dare vigore alla nostra vita.
Ogni giorno dal lunedì al venerdì c’è la possibilità di partecipare alla Messa del mattino alle 8.30 e, la sera, alle 17.30 con la recita del Vespro.
La Messa sarà preceduta dalla pia pratica del Rosario
Il giovedì sarà giorno di approfondimento e riflessione: per chi ha la possibilità, dopo la Messa intorno alle 18.00 ci sarà un  incontro di catechesi per gli Adulti in cui si cercherà di capire l’enciclica di Papa Francesco: Evangelii Gaudium.
Sempre sulla stessa enciclica giovedì 27 Marzo alle 21.00 ci sarà l’ Incontro con Don Stefano
Il Venerdì, sarà un giorno particolare per vivere la nostra quaresima. Alle 17.00, prima della Messa ci sarà la pratica della Via Crucis con la quale, nella riflessione e preghiera si ripercorre la strada del dolore che ha vissuto Gesù nella sua Passione.
E Venerdì 7 Marzo e 4 aprile, essendo i primi del mese, dopo la Messa delle ci sarà l’adorazione e Benedizione Eucaristica.
Sempre durante questa Quaresima, Il 15 marzo avremo la visita Pastorale del Cardinale Vicario Agostino Vallini: alle 16, 45 incontrerà i bambini con le famiglie, alle 17,30 la Santa Messa cui seguirà l’incontro con operatori pastorali e quanti sono attenti alle attività della Parrocchia.
Sarà un incontro che ci legherà ancor di più,intorno al nostro Pastore, alla diocesi di Roma.
Un motivo di gioia e nello stesso tempo di impegno per ravvivare e rinvigorire la nostra fede.
Le occasioni per la preghiera e la riflessione non mancano: dobbiamo saperle scegliere, secondo le nostre possibilità, e viverle.
Il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì santo sono giorni di digiuno, che si estende anche a tutta la Quaresima come ‘stile di vita’. Il digiuno serve per chiedere a Dio, il dono della nostra conversione: essere essenziali, rinunciare a quanto è superfluo ed aiutare nella carità chi si trova in necessità, ci aiuterà a pensare alle nostre scelte e alla possibilità di conversione.
Ci sono persone che vivono ai limiti della tollerabilità di una vita  decente, anche accanto a noi. Li abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi. Non possiamo dare risposte definitive, ma qualcosa lo possiamo. Il frutto del nostro digiuno delle nostre scelte lo devolveremo alla iniziative di Carità.
Non credo che sia un caso che il Signore, per volontà di Papa Francesco, abbia dato il Titolo della nostra Chiesa al Cardinal Chibly Langlois, vescovo di Haiti.
Una Chiesa, quella da lui presieduta, che vive ancora nell’emergenza sociale, economica, umanitaria e che dal terremoto del 2010 che l’ha completamente devastata, stenta a rialzarsi.
Anche questo segno per noi, è una chiamata del Signore.
All’entrata della Chiesa accanto alla Statua della Madonna c’è una bussola dove si raccolgono le offerte. Tutto quanto versato in essa servirà per la ‘Carità’ verso i poveri.
Durante tutto il periodo quaresimale i sacerdoti presenti in Chiesa, saranno disponibili per celebrare il sacramento della Penitenza: la Confessione. Il momento sacramentale in cui il nostro cammino di conversione si incontra in Gesù con la Misericordia del Padre e trova la forza dello Spirito per vivere nella ‘libertà dei figli di Dio’.
Ci auguriamo di poter vivere questa Quaresima riscoprendo sempre di più la gioia del Battesimo: lasciamo che il Signore entri nel nostro cuore, nella nostra famiglia, nella nostra Vita. 
Che Dio ci doni la capacità di vivere come figli della luce cosicché, perseverando nella fede, andiamo incontro al Signore che viene con tutti i Santi nel Regno dei cieli.

Don Giuseppe, Parroco

Sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:




Nuova tappa evangelizzatrice caratterizzata dalla gioia
“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (1). Così inizia l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù, vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2). “Anche i credenti corrono questo rischio” (2), perché “ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (6): un evangelizzatore non dovrebbe avere “una faccia da funerale” (10). E' necessario passare "da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria" (15).

Riforma delle strutture ecclesiali
Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi” (11). L’appello rivolto a tutti i cristiani è quello di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”: “tutti siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria” (20). Si tratta “di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e che spinge a porsi in uno “stato permanente di missione” (25). E’ necessaria una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27). Partendo dalle parrocchie, il Papa nota che l’appello al loro rinnovamento “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente” (28). Le altre realtà ecclesiali “sono una ricchezza della Chiesa”, ma devono integrarsi “con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (29).

Conversione del papato
Quindi aggiunge: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. Giovanni Paolo II “chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Siamo avanzati poco in questo senso”. “Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria” (32).

Concentrarsi sull’essenziale
Riguardo all’annuncio, afferma che è necessario concentrarsi sull’essenziale, evitando una pastorale
“ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a
forza di insistere” (35): “in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore
salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (36). Succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio” (38). “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” dice: “in seno alla Chiesa ... le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (40). Circa il rinnovamento, afferma che occorre riconoscere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”: “non abbiamo paura di rivederle”. (43).
Una Chiesa con le porte aperte
“La Chiesa – scrive il Papa – è chiamata ad essere sempre la casa aperta del padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (47). Quindi ribadisce quanto diceva a Buenos Aires: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli” vivono senza l’amicizia di Gesù (49).

Sistema economico attuale ingiusto alla radice
Parlando di alcune sfide del mondo attuale, denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice” (59). “Questa economia uccide”, fa prevalere la “legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (53). C’è la “nuova tirannia invisibile, a volte virtuale”, di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista” (56). Il documento affronta poi gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza. In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista” (61).

Individualismo postmoderno snatura vincoli familiari
La famiglia, “cellula fondamentale della società” – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale
profonda”. Ribadendo, quindi, “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” (66), il Papa sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita ... che snatura i vincoli familiari”(67).



Tentazioni degli operatori pastorali
Il testo affronta poi le “tentazioni degli operatori pastorali”. Il Papa, afferma, “come dovere di giustizia, che l’apporto della Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore” ((76). Ma “si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore” (78); in altri si nota “una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana” (79). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità” . Si sviluppa “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo” (83). Tuttavia, il Papa invita con forza a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” (84). Nei deserti della società sono molti i segni della “sete di Dio”: c’è dunque bisogno di persone di speranza, “persone-anfore per dare da bere agli altri” (86). “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla
rivoluzione della tenerezza” (88)

Dio ci liberi da una Chiesa mondana
Denuncia quindi “la mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa”: consiste “nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale” (93). Questa mondanità si esprime in due modi: “il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo” e “il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che ... fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché ... sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare” (94). In altri “si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia”. In altri ancora, la mondanità “si esplica in un funzionalismo manageriale ... dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione” (95). “E’ una tremenda corruzione con apparenza di
bene ... Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).

Più spazio nella Chiesa a laici, donne e giovani
Altra denuncia: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!” per “invidie e gelosie”. “Alcuni ... più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale” (98). Il Papa sottolinea quindi la necessità di far crescere “la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa”. Talora, “un eccessivo clericalismo” mantiene i laici “al margine delle decisioni” (102). “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società”, ma “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”. Occorre garantire la presenza delle donne“nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (103). “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne ...non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di
particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere”. “Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi” (104). Poi, il Papa rileva che i giovani devono avere “un maggiore protagonismo” (106). Riguardo alla scarsità di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che si riscontra in molti luoghi, afferma che “spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso”. Nello stesso tempo, “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno
se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico” (107).

La Chiesa ha un volto pluriforme
Affrontando il tema dell’inculturazione, il Papa ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che “la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità” mostrando la bellezza di un “volto pluriforme”. (116) “Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (117). Il testo ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122). “Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!” (124). Il Papa incoraggia “il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica” ma li invita ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino” (133).

Omelia: saper dire parole che fanno ardere i cuori
A questo punto, il Papa si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). Innanzitutto, “chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio” (137). “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento”, “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione” (138). Bisogna saper dire "parole che fanno ardere i cuori", rifuggendo da una "predicazione puramente moralista e indottrinante" (142). “La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione”, rinunciando anche “ad altri impegni, pur importanti”. “Un predicatore che n
on si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). “Una buona omelia ... deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). “Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio”. “Una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività” (159).


Ruolo fondamentale del “kerygma”
“Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o ‘kerygma’”. Sulla bocca del catechista risuoni sempre il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”(164). Ci sono “alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (165). Il Papa indica l’arte dell’accompagnamento, “perché tutti imparino sempre a togliersi
i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” che bisogna vedere “con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana” (169).



Una Chiesa povera per i poveri
Ricorda, quindi, “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (178). Ribadisce il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo” (182). “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale e nazionale”. “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista  – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”. E cita Giovanni Paolo II laddove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri” (187). “A volte si tratta di ascoltare il grido ... dei popoli più poveri della terra, perché ‘la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli’. Deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi” (190). Il Papa denuncia la “cattiva distribuzione dei beni e del reddito” (191). Quindi lancia un monito: “Non preoccupiamoci unicamente di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché ‘ai difensori dell'ortodossia» si rivolge a volte il rimprovero di passività, d'indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono’” (194). In questo contesto “c'è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via” (195). “Per la Chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”
. “Per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198). Il Papa poi afferma che “la peggior discriminazione che soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale” (200). “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri ... non si risolveranno i problemi del mondo
e in definitiva nessun problema” (202).

I politici abbiano cura dei deboli
“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune” –  scrive il Papa - “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!” (205). Invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati”. Riguardo ai migranti esorta “i Paesi ad una generosa apertura, che, al posto di temere la distruzione dell'identità locale, sia capace di creare nuove sintesi culturali” (210). Il Papa parla “di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta delle persone” e delle nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (211). “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza” (212).

Riconoscere dignità umana dei nascituri: aborto non è progressista
“Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo” (213). “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie” (214). Poi, l’appello a rispettare tutto il creato: “Piccoli, però forti nell’amore di Dio, come San Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (216).

Voce profetica per la pace
Riguardo al tema della pace, il Papa afferma che è “necessaria una voce profetica” quando si vuole attuare una falsa riconciliazione che “metta a tacere” i poveri, mentre alcuni “non vogliono rinunciare ai loro privilegi” (218). Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi (221): “il tempo è superiore allo spazio” (222) significa “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (223). “L’unità prevale sul conflitto” (226) vuol dire operare perché gli opposti raggiungano “una pluriforme unità che genera nuova vita” (228). “La realtà è più importante dell’idea” (231) significa evitare che la politica e la fede siano ridotte alla retorica (232). “Il tutto è superiore alla parte” significa mettere insieme globalizzazione e localizzazione (234).

Una Chiesa che dialoga
“L’evangelizzazione – prosegue il Papa – implica anche un cammino di dialogo” che apre la Chiesa a collaborare con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali (238). L’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Importante l’arricchimento reciproco: “quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!”, per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246); “il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù” (248); “il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”, è “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251); “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam (252): il Papa implora “umilmente” affinché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invita a “evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza” (253). E contro il tentativo di privatizzare le religioni in alcuni contesti, afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose” (255). Ribadisce quindi l’importanza del dialogo e dell’alleanza tra credenti e non credenti (257).

Evangelizzatori con Spirito
L’ultimo capitolo è dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”, che sono quanti “si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempoe luogo, anche controcorrente” (259). Si tratta di “evangelizzatori che pregano e lavorano” (262), nella consapevolezza che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268): “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri” (270). “Nel nostro rapporto col mondo – precisa – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (271). “Può essere missionario – aggiunge – solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272): “se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (274). Il Papa invita a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati perché la “fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279). L’Esortazione si conclude con u
na preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della
tenerezza e dell’affetto” (288)

Quelli che la Famiglia: primo incontro



I incontro - La famiglia oggi

A seguito del questionario inviato alle parrocchie in vista del Sinodo dei Vescovi che si terrà quest’anno, incentrato sul tema della famiglia, don Giuseppe ha invitato le famiglie della nostra parrocchia ad incontrarsi per riflettere insieme su alcuni quesiti riguardanti la più piccola e singolare cellula della società e della comunità: la famiglia. Cercheremo di riflettere insieme soprattutto su cosa significa “essere famiglia oggi”. Prima di confrontarci però, nel corso dei nostri incontri, proveremo a metterci in ascolto della Parola, cercando di rimanere in un atteggiamento di silenzio interiore, e lasciando che essa penetri in profondità e risuoni dentro di noi.



Dal libro della Gènesi (Gn 1,27; 2,18-24)


Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.

Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta».
Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.


“Il racconto biblico della creazione parla della solitudine del primo uomo, Adamo, al quale Dio vuole affiancare un aiuto. Fra tutte le creature, nessuna può essere per l'uomo quell'aiuto di cui ha bisogno, sebbene a tutte le bestie selvatiche e a tutti gli uccelli egli abbia dato un nome, integrandoli così nel contesto della sua vita. Allora, da una costola dell'uomo, Dio plasma la donna. Ora Adamo trova l'aiuto di cui ha bisogno: « Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa » (Gn 2, 23). È possibile vedere sullo sfondo di questo racconto concezioni quali appaiono, per esempio, anche nel mito riferito da Platone, secondo cui l'uomo originariamente era sferico, perché completo in se stesso ed autosufficiente. Ma, come punizione per la sua superbia, venne da Zeus dimezzato, così che ora sempre anela all'altra sua metà ed è in cammino verso di essa per ritrovare la sua interezza. Nel racconto biblico non si parla di punizione; l'idea però che l'uomo sia in qualche modo incompleto, costituzionalmente in cammino per trovare nell'altro la parte integrante per la sua interezza, l'idea cioè che egli solo nella comunione con l'altro sesso possa diventare « completo », è senz'altro presente. E così il racconto biblico si conclude con una profezia su Adamo: « Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24). Due sono qui gli aspetti importanti: l'eros è come radicato nella natura stessa dell'uomo; Adamo è in ricerca e « abbandona suo padre e sua madre » per trovare la donna; solo nel loro insieme rappresentano l'interezza dell'umanità, diventano « una sola carne ».
Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l'eros rimanda l'uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. All'immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l'icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell'amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa” [Deus Caritas est, 11].

Dalla lettera ai Colossesi (Col 3,12-17)


Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.


Anche se in questo brano san Paolo si rivolge chiaramente alle prime comunità cristiane appare evidente che si tratta di un paradigma applicabile a quella “piccola comunità” che è, o almeno dovrebbe essere, la famiglia.
“Partendo dalla contemplazione della Famiglia di Nazareth, la struttura famigliare è certamente una delle vie in cui il Vangelo si comunica e si fa strada attraverso la storia (cfr. Lc 2). Anche la prima comunità cristiana ha una struttura di tipo famigliare: riuniti attorno ad un padre, Dio, ad una madre, Maria, e ci si chiama fratelli… Dunque la famiglia ha una propria specifica vocazione di annuncio del Vangelo ma, essa stessa, deve essere prima evangelizzata. E la famiglia si lascia evangelizzare, in primissimo luogo, se sa mettere al suo centro la Parola di Dio, la presenza di Gesù. Questa è la sua vocazione! Scrive San Paolo: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). “Siete concittadini dei santi e familiari di Dio...”, la famiglia cristiana ha perciò la funzione (missione) di far vedere cosa vuol dire  essere famigliare di Dio e, al tempo stesso, diventa simbolo che manifesta in sé che cosa significhi vivere autentiche relazioni evangeliche fra noi” (P. Pino Piva SJ).

Domande:

·         Cosa significa “essere famiglia oggi”?

·         Abbiamo inteso come la famiglia sia un’immagine di Dio in quanto relazione d’amore: quanto questo è incarnato nella nostra vita?

·         Quali sfide deve affrontare la famiglia oggi?

·         E’ possibile all’interno della famiglia trovare momenti di condivisione sulla Parola del Signore? Quali gli impedimenti?


Preghiera alla Santa Famiglia di Papa Francesco
(durante l’Angelus a piazza san Pietro il 29 dicembre 2013)



Gesù, Maria e Giuseppe,
in voi contempliamo
lo splendore dell’amore vero,
a voi con fiducia ci rivolgiamo.

Santa Famiglia di Nazareth,
rendi anche le nostre famiglie
luoghi di comunione e cenacoli di preghiera,
autentiche scuole del Vangelo
e piccole Chiese domestiche.

Santa Famiglia di Nazareth,
mai più nelle famiglie si faccia esperienza
di violenza, chiusura e divisione:
chiunque è stato ferito o scandalizzato
conosca presto consolazione e guarigione.
Santa Famiglia di Nazareth,
il prossimo Sinodo dei Vescovi
possa ridestare in tutti la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
la sua bellezza nel progetto di Dio.

Gesù, Maria e Giuseppe,
ascoltate, esaudite la nostra supplica. Amen.