giovedì 31 ottobre 2019

COMMEMORAZIONE FEDELI DEFUNTI



Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali (cfr Conc. Vat. II, Costituzione dommatica sulla Chiesa, «Lumen gentium», 49). La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi (ibidem, 50). Nei riti funebri la Chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. (Cfr Rito delle esequie, 1). Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV.

Quest'anno la ricorrenza capiterà di sabato pertanto la messa vespertina del 2 novembre sarà la prefestiva della domenica.
Per permettere alla nostra Parrocchia di celebrare tale Commemorazione,
VERRÀ CELEBRATA UNA MESSA ALLE 10,30.

FESTA DI TUTTI I SANTI


Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa
la gioia di celebrare in un’unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi,
concedi al tuo popolo,
per la comune intercessione di tanti nostri fratelli,
l’abbondanza della tua misericordia.

La Santa Messa verrà celebrata al consueto orario festivo:
8,30; 10,30; 11.30;
17,30 Messa solenne animata dalla Cappella San Giacomo.


martedì 29 ottobre 2019

XXV MATRIMONIO


Durante la Messa delle 17.30 di sabato scorso
hanno celebrato il
XXV Anniversario di Matrimonio
RICCARDI ALESSANDRA e MALGHERINI LUIGI
Noi ti lodiamo e ti benediciamo, o Dio,
creatore e Signore dell'universo,
che in principio hai formato l'uomo e la donna
e li hai uniti in comunione di vita e di amore;
ti rendiamo grazie,
perché hai unito Luigi e Alessandra nel vincolo santo
a immagine dell'unione di Cristo con la Chiesa.
Guardali, o Signore, con occhio di predilezione
e come li guidasti tra le gioie e le prove della vita,
ravviva in loro la grazia del patto nuziale,
accresci l'amore e l'armonia dello spirito,
perché con Eleonora che oggi li festeggia],
godano sempre della tua benedizione.
Per Cristo nostro Signore. R. Amen.
Alla loro famiglia vanno i nostri più calorosi ed affettuosi auguri.

BATTESIMO



Sabato pomeriggio è stata battezzata ARIANNA, ai genitori Luigi ed Elena vanno i nostri più cari auguri.

venerdì 25 ottobre 2019

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14
 In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
 Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Parola del Signore

Una parabola “di battaglia”, in cui Gesù ha l’audacia di denunciare che pregare può essere pericoloso, può perfino separarci da Dio, renderci “atei”, adoratori di un idolo. Il fariseo prega, ma come rivolto a se stesso, dice letteralmente il testo; conosce le regole, inizia con le parole giuste «o Dio ti ringrazio», ma poi sbaglia tutto, non benedice Dio per le sue opere, ma si vanta delle proprie: io prego, io digiuno, io pago, io sono un giusto.
Per l’anima bella del fariseo, Dio in fondo non fa niente se non un lavoro da burocrate, da notaio: registra, prende nota e approva. Un muto specchio su cui far rimbalzare la propria arroganza spirituale. Io non sono come gli altri, tutti ladri, corrotti, adulteri, e neppure come questo pubblicano, io sono molto meglio. Offende il mondo nel mentre stesso che crede di pregare. Non si può pregare e disprezzare, benedire il Padre e maledire, dire male dei suoi figli, lodare Dio e accusare i fratelli.
Quella preghiera ci farebbe tornare a casa con un peccato in più, anzi confermati e legittimati nel nostro cuore e occhio malati. Invece il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Una piccola parola cambia tutto e rende vera la preghiera del pubblicano: «tu», «Signore, tu abbi pietà». La parabola ci mostra la grammatica della preghiera. Le regole sono semplici e valgono per tutti. Sono le regole della vita. La prima: se metti al centro l’io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con i figli o con gli amici, tantomeno con Dio.
Il nostro vivere e il nostro pregare avanzano sulla stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di qualcuno (un amore, un sogno o un Dio) così importante che il tu viene prima dell’io. La seconda regola: si prega non per ricevere ma per essere trasformati. Il fariseo non vuole cambiare, non ne ha bisogno, lui è tutto a posto, sono gli altri sbagliati, e forse un po’ anche Dio. Il pubblicano invece non è contento della sua vita, e spera e vorrebbe riuscire a cambiarla, magari domani, magari solo un pochino alla volta. E diventa supplica con tutto se stesso, mettendo in campo corpo cuore mani e voce: batte le mani sul cuore e ne fa uscire parole di supplica verso il Dio del cielo (R. Virgili).
Il pubblicano tornò a casa perdonato, non perché più onesto o più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l’umiltà) ma perché si apre – come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento – a Dio che entra in lui, con la sua misericordia, questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.
(Padre Ermes Ronchi)

venerdì 18 ottobre 2019

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO




Dal Vangelo secondo Luca (Lc. 18,1-8)
 In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
 «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
 Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
 E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore

Disse poi una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Questi sempre e mai, parole infinite e definitive, sembrano una missione impossibile. Eppure qualcuno c’è riuscito: «Alla fine della sua vita frate Francesco non pregava più, era diventato preghiera» (Tommaso da Celano).
Ma come è possibile lavorare, incontrare, studiare, mangiare, dormire e nello stesso tempo pregare? Dobbiamo capire: pregare non significa dire preghiere; pregare sempre non vuol dire ripetere formule senza smettere mai. Gesù stesso ci ha messo in guardia: «Quando pregate non moltiplicate parole, il Padre sa…» (Mt 6,7).
Un maestro spirituale dei monaci antichi, Evagrio il Pontico, ci assicura: «Non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano». Intimità: pregare alle volte è solo sentire una voce misteriosa che ci sussurra all’orecchio: io ti amo, io ti amo, io ti amo. E tentare di rispondere. Pregare è come voler bene, c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami giorno e notte, senza smettere mai. Basta solo che ne evochi il nome e il volto, e da te qualcosa si mette in viaggio verso quella persona.
Così è con Dio: pensi a lui, lo chiami, e da te qualcosa si mette in viaggio all’indirizzo dell’eterno: «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (sant’Agostino). Il tuo desiderio di preghiera è già preghiera, non occorre star sempre a pensarci. La donna incinta, anche se non pensa in continuazione alla creatura che vive in lei, diventa sempre più madre a ogni battito del cuore. Il Vangelo ci porta poi a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, anonima e indimenticabile, indomita davanti al sopruso.
C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario! Una donna che non si arrende ci rivela che la preghiera è un no gridato al «così vanno le cose», è il primo vagito di una storia neonata: la preghiera cambia il mondo cambiandoci il cuore. Qui Dio non è rappresentato dal giudice della parabola, lo incontriamo invece nella povera vedova, che è carne di Dio in cui grida la fame di giustizia. Perché pregare?
È come chiedere: perché respirare? Per vivere! Alla fine pregare è facile come respirare. «Respirate sempre Cristo», ultima perla dell’abate Antonio ai suoi monaci, perché è attorno a noi. «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Allora la preghiera è facile come il respiro, semplice e vitale come respirare l’aria stessa di Dio.
(Padre Ermes Ronchi)

16 ottobre


Il 16 ottobre 1943, all'alba, ricordiamo il drammatico rastrellamento degli ebrei a Roma ed il loro trasferimento ad Auschwitz. Nel pomeriggio del 16 ottobre del 1978 ricordiamo le prime parole di Giovanni Paolo II quando, appena eletto, si è affacciato dal balcone della basilica di San Pietro. Nel pomeriggio del 16 ottobre del 2006 alle 17:30 fui presentato come il nuovo parroco nella nostra chiesa di San Giacomo. Avevo il cuore pieno di dolore. Non c'era più mia mamma: da pochi mesi l'avevo persa. Papà, stanco e malandato, non era potuto venire. Sarebbe morto dopo pochi mesi. Monsignor Ernesto Mandara, allora Vescovo del Settore Centro, in forma semplice, mi presentò ai fedeli. Non me la sentivo di fare ingresso solenne. Né di far festa. Ma fu l'inizio di una nuova avventura. Solo nel tempo, dopo aver visto le mie peripezie, ho capito del perché il Signore aveva voluto che diventassi parroco proprio di questa chiesa. Devo dire che un bel pezzo di strada l'abbiamo fatta. A distanza di anni vedo che ero e sono molto contento. Ho trovato persone che mi hanno amato. Che sono state mie collaboratrici i miei collaboratori. Hanno avuto la pazienza con me, con i miei acciacchi, con i miei orari. Non sono mai stato lasciato solo. in quest'ultimo anno abbiamo subito il dolore della perdita di Don Stefano. Per me non è solo stato solo un collaboratore, ma un fratello: sono stato più con lui che con mia mamma. Oltre 20 anni. So che dal cielo, come aveva promesso a mia mamma, continuerà a vegliare su di me. Oggi quindi rivolgo il mio sguardo al Signore per rendergli grazie per quanto mi ha fatto. Ripercorro con il salmista il mio cammino. E con lui grido: il Signore ha fatto meraviglie: eterno è il suo amore per noi. Grazie a tutti grazie per il bene che mi volete, grazie perché ci siete, grazie perché io sono con voi. Ad multos annos. Don Giuseppe.

Pellegrinaggio cresimandi

Pellegrinaggio notturno cresimandi della diocesi di Roma sulle orme di San Camillo de Lellis. La tappa qui da noi, nella nostra chiesa, insieme a don Andrea, collaboratori ed una esuberante e frizzante suora camilliana.








sabato 12 ottobre 2019

IN THE NAME OF AFRICA

Eliminare la fame e la malnutrizione sono le grandi sfide del nostro tempo. Dal 2015, dopo decenni di progressi, la percentuale di persone che non hanno accesso al cibo è tornata a salire. Nel 2018, 820 milioni di persone, ovvero 1 individuo su 9 del pianeta non ha avuto disponibilità di cibo sufficiente alla propria alimentazione. Intorno a questi temi si muoverà il 16 ottobre prossimo la Giornata mondiale dell’alimentazione. In vista di questo appuntamento, Cefa Onlus – Il seme della solidarietà sabato 12 ottobre sarà a Roma, in piazza del popolo, con “IN THE NAME OF AFRICA”, grande performance di pixel art urbana per porre l’attenzione sulle gravi condizioni di malnutrizione in cui vivono milioni di persone in tutto il mondo.
La piazza si trasformerà in una grande “tavola della solidarietà” apparecchiata con 10.000 piatti bianchi per ricordare che ancora oggi troppe persone soffrono la fame. Con il contributo dei volontari, i piatti ad uno ad uno verranno capovolti per formare, dapprima, il disegno dell’Africa, poi quello di un libro da cui nasce una spiga – illustrazione ideata dal fumettista Francesco Tullio Altan – e, infine, la sagoma dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, “a sottolineare come l’educazione e lo studio, la formazione agricola e la conoscenza tecnica siano i mezzi fondamentali per sconfiggere la fame”
(Da Radio Città Futura)



venerdì 11 ottobre 2019

DOMENICA XXVIII TEMPO ORDINARIO




Dio ci offre non solo guarigione, ma salvezza

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17, 11-19
 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Parola del Signore

Dieci lebbrosi che la sofferenza ha riunito insieme, che si appoggiano l’uno all’altro. Appena Gesù li vide… Notiamo il dettaglio: appena li vide, subito, spinto dalla fretta di chi vuole bene, disse loro: andate dai sacerdoti e mostrate loro che siete guariti! I dieci si mettono in cammino e sono ancora malati; la pelle ancora germoglia piaghe, eppure partono dietro a un atto di fede, per un anticipo di fiducia concesso a Dio e al proprio domani, senza prove: «La Provvidenza conosce solo uomini in cammino» (san Giovanni Calabria), navi che alzano le vele per nuovi mari.
I dieci lebbrosi credono nella salute prima di vederla, hanno la fede dei profeti che amano la parola di Dio più ancora della sua attuazione, che credono nella parola di Dio prima e più che alla sua realizzazione. E mentre andavano furono guariti. Lungo il cammino, un passo dopo l’altro la salute si fa strada in loro. Accade sempre così: il futuro entra in noi con il primo passo, inizia molto prima che accada, come un seme, come una profezia, come una notte con la prima stella, come un fiume con la prima goccia d’acqua. E furono guariti.
Il Vangelo è pieno di guariti, sono il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto nelle piaghe dei dieci lebbrosi e nello stupore dell’unico che ritorna cantando. E al quale Gesù dice: la tua fede ti ha salvato!. Anche gli altri nove che non tornano hanno avuto fede nelle parole di Gesù. Dove sta la differenza? Il samaritano salvato ha qualcosa in più dei nove guariti.
Non si accontenta del dono, lui cerca il Donatore, ha intuito che il segreto della vita non sta nella guarigione, ma nel Guaritore, nell’incontro con lo stupore di un Dio che ha i piedi nel fango delle nostre strade, e gli occhi sulle nostre piaghe. Nessuno si è trovato che tornasse a rendere gloria a Dio? Ebbene «gloria di Dio è l’uomo vivente» (sant’Ireneo).
E chi è più vivente di questo piccolo uomo di Samaria? Lui, il doppiamente escluso, che torna guarito, gridando di gioia, danzando nella polvere della strada, libero come il vento? Non gli basta tornare dai suoi, alla sua famiglia, travolto da questa inattesa piena di vita, vuole tornare alla fonte da cui è sgorgata. Altro è essere guariti, altro essere salvati. Nella guarigione si chiudono le piaghe, ma nella salvezza si apre la sorgente, entri in Dio e Dio entra in te, come pienezza.
I nove guariti trovano la salute; l’unico salvato trova il Dio che dona pelle di primavera ai lebbrosi, che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, e la cui gloria è l’uomo vivente, «l’uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).


sabato 5 ottobre 2019

DOMENICA XXVII PER ANNUM



Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17, 5-10
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai.
Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.
Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato.
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare!
Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».
Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.
La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.
Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace. Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.

Padre Ermes Ronchi



Da questa domenica condivideremo le bellissime Riflessioni di Padre Ermes Ronchi.
Gli ho scritto e chiesto, e lui gentilmente ce lo ha concesso.
Chi è Padre Ermes?
Primi passi
A diciotto anni, mentre studia al liceo con l'intenzione di diventare frate, conosce Giovanni Vannucci durante una settimana di incontri spirituali; Vannucci gli insegna che mondo sacro e mondo reale coincidono:
«Ricordo che lui ci consigliava, ci obbligava quasi a leggere i grandi romanzieri russi perché diceva che c’è più intuizione sacra in un grande romanzo che in interi trattati di teologia. Allora io imparai, dietro suo suggerimento, a leggere Dostoevskij o Tolstoj nel bagno, nello sgabuzzino della doccia coprendo la lampadina con la camicia perché il superiore non vedesse la luce filtrare sotto. E questa lettura ci aiutava a scoprire il reale come luogo del sacro.»
Vannucci lo aiuta inoltre a superare le frustrazioni nel rapporto con i superiori, suggerendogli che l'armonia va conquistata anzitutto nella relazione con Dio e con se stessi:
«In quegli anni il grande problema di tutti noi era il rapporto con l’autorità, si respiravano già i primi sintomi del ’68, allora io andai da lui e gli dissi: “padre Giovanni, io ho un problema con il mio superiore, non riesco ad andare d’accordo, non riesco ad apprezzarlo, non mi aiuta, non mi fa cantare dentro”. Desideravo dentro di me inconsciamente che lui mi incoraggiasse in questa sorta di contestazione e invece lui mi disse: “tu devi avere dei problemi più seri, non devi avere il problema dei superiori, devi avere il problema di Dio e dell’armonia della tua vita interiore, dell’armonia con te stesso”. [...] Ecco, questo mi ha aiutato molto.»
Altro incontro determinante è per lui quello con David Maria Turoldo.
Attività
Ordinato sacerdote (1973), dà vita, insieme ad altri frati, ad una comunità sperimentale nella provincia di Vicenza (trasferitasi poi a Casale Monferrato):
«Abbiamo lasciato il convento classico, dove tutto è organizzato e sicuro, abbiamo preso una casa disabitata, abbiamo cercato di mantenerci con il nostro lavoro, abbiamo cercato il contatto reale con le persone. [...] Per quattro anni ho fatto, abbiamo fatto di tutto: io facevo il bracciante agricolo, un altro lavorava sul territorio, un altro ancora correggeva le bozze. Poi ho sentito il bisogno di studiare.»
Chiede di andare a Parigi, dove lavora come insegnante di italiano, di religione presso il Liceo italiano "Leonardo da Vinci", e come spazzino comunale per mantenersi gli studi.[2] Consegue due dottorati: in Storia delle religioni con specializzazione in Antropologia culturale (alla Sorbona) e in Scienze Religiose (all'Institut catholique de Paris).
Nel 1980 torna in Italia, dove è destinato al convento dell'Annunciata di Rovato fino al 1991:
«Non facevamo nulla di straordinario, cercavamo di essere significativi attraverso delle proposte di spiritualità, di cultura, di impegno sociale. Da lì ho cominciato il ministero della predicazione. In quegli anni è uscito il mio primo libro.»
Dal 1991 al 1994 è nella comunità dei Servi di Maria a Verona.
Nel 1994, dopo sei mesi trascorsi a Parigi per rinfrescare gli studi, si stabilisce a Milano, svolgendo varie attività presso la chiesa di San Carlo al Corso, dirigendo il Centro culturale Corsia dei Servi fondato da David Maria Turoldo.
Ha redatto i testi di riflessione per la veglia di 500.000 ragazzi all'Incontro nazionale dei giovani 2007.
È docente di Estetica Teologica ed Iconografia alla Pontificia facoltà teologica "Marianum" di Roma.
L'11 settembre 2012 è stato nominato parroco della parrocchia di San Carlo al Corso, a Milano.
Nel 2016, su incarico di papa Francesco, tiene le meditazioni degli esercizi spirituali alla Curia romana.
Dall'8 settembre 2016 vive nel convento di Santa Maria del Cengio, a Isola Vicentina (VI), piccola comunità dei Servi di Maria, che da tempo ha avviato, grazie all'apporto fondamentale di un gruppo di laici, attività che fanno crescere la spiritualità e favoriscono la riflessione su temi di attualità, tra i quali l'esigenza di diffondere nuovi stili di vita nel rispetto del Creato.
È autore di numerosi libri su temi biblici e spirituali; collabora inoltre con diverse testate giornalistiche, tra cui l'Avvenire[6]. Ha affermato:
«Mi sento servo, ministro al servizio della Parola: è la passione, è il richiamo, la fonte, la roccia, il nido della mia vita. Annunciare la Parola, scrivere della Parola, tradurla nel linguaggio di oggi sono le pietre miliari del mio cammino quotidiano.»
Il commento del Vangelo in TV
Dal novembre del 2009 al 2014 ha sostituito Raniero Cantalamessa nella conduzione della rubrica Le ragioni della Speranza all'interno del programma di cultura cattolica A sua immagine[7]. La conduzione di Ermes Ronchi ha la caratteristica di associare sovente il commento del Vangelo alla visita di una comunità di ispirazione religiosa ed ogni puntata si conclude con la lettura di una poesia devozionale tra quelle dei più vari autori.
(da Wikipedia)

martedì 1 ottobre 2019

GIORNATA DEL MIGRANTE



SIAMO INVASI DA MIGRANTI. VERITÀ? SENSAZIONE? PERCEZIONE? SOLLECITAZIONE? EGEMONIA DEL PENSIERO DOMINANTE?
So per certo una cosa. Mio nonno paterno che era un ragazzo del 99, dopo la guerra, dovette andare in Germania e lavorare nelle miniere; in seguito fece lavori stagionali venendo nel Lazio a mietere il grano o a vendemmiare per poi tornare con qualche spicciolo a lavorare la sterile terra a Castelletta. Mio nonno materno, un po' più grande, dopo la guerra è dovuto andare in Francia e lavorare in ferrovia SNCF, inizialmente come operaio che metteva il carbone nelle locomotive a vapore e poi come macchinista; tutti e due hanno faticato, sono stati emarginati a volte umiliati per la loro provenienza; lavoravano per la loro famiglia o per le famiglie che si apprestavano a formare;
ERANO MIGRANTI ECONOMICI ED IO SONO NIPOTE DI MIGRANTI. ma di che cosa vogliamo parlare!!!!