sabato 30 novembre 2019

Preparazione presepe

Lavoro in corso.
Preparazione del presepe in San Giacomo in Augusta a Via del Corso
Grazie a Marco e Gennaro.



venerdì 29 novembre 2019

Avvento 2019



Domenica prossima inizia l'Avvento. Invitiamo ogni famiglia, almeno la domenica, a trovare un momento in cui possa riunirsi e pregare assieme. È stato preparato un piccolo sussidio che si può richiedere a don Giuseppe o Padre Zè.
Giovedì 5 dicembre alle 17.00 nei locali della parrocchia ci sarà l’ora del thè, momento di incontro conviviale.
Alle 18.30: Incontro di LECTIO DIVINA. Approfondimento della Parola di Dio sul tema dell’ASCOLTO, dimensione importante per vivere l’Avvento
Domenica 8 dicembre: alle 17.30 ci sarà la Messa Solenne dell’Immacolata.
Domenica 15 dicembre, dopo la Messa delle 11.30 faremo nella sala della Parrocchia il Pranzo comunitario. Chi intende partecipare deve compilare il foglio appositamente preparato posto sulla scrivania avanti alla porta dell’Ufficio Parrocchiale su cui indicherà il numero di partecipanti e quanto si intende preparare per questo momento conviviale.
Venerdì 20 dicembre, alle 16.30: l’Ora del thè,
Ritiro spirituale
alle 17.30: Santa messa con meditazione e seguirà adorazione eucaristica e preghiera personale

giovedì 28 novembre 2019

Prima domenica di avvento



Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 24,37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Parola del Signore
padre Ermes Ronchi
Al tempo di Noè gli uomini mangiavano e bevevano… e non si accorsero di nulla. Non si accorsero che quel mondo era finito. I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «il vizio supremo della nostra epoca» (R. Panikkar).
L’Avvento che inizia è invece un tempo per accorgerci. Per vivere con attenzione, rendendo profondo ogni momento. L’immagine conduttrice è Miriam di Nazaret nell’attesa del parto, incinta di Dio, gravida di luce. Attendere, infinito del verbo amare. Le donne, le madri, sanno nel loro corpo che cosa è l’attesa, la conoscono dall’interno.
Avvento è vita che nasce, dice che questo mondo porta un altro mondo nel grembo; tempo per accorgerci, come madri in attesa, che germogli di vita crescono e si arrampicano in noi. Tempo per guardare in alto e più lontano. Anch’io vivo giorni come quelli di Noè, quando neppure mi accorgo di chi mi sfiora in casa e magari ha gli occhi gonfi, di chi mi rivolge la parola; di cento naufraghi a Lampedusa, di questo pianeta depredato, di un altro kamikaze a Bagdad.
È possibile vivere senza accorgersi dei volti. Ed è questo il diluvio! Vivere senza volti: volti di popoli in guerra; di bambini vittime di violenza, di fame, di abusi, di abbandono; volti di donne violate, comprate, vendute; volti di esiliati, di profughi, di migranti in cerca di sopravvivenza e dignità; volti di carcerati nelle infinite carceri del mondo, di ammalati, di lavoratori precari, senza garanzia e speranza, derubati del loro futuro; è possibile, come allora, mangiare e bere e non accorgersi di nulla.
I giorni di Noè sono i miei, quando dimentico che il segreto della mia vita è oltre me, placo la fame di cielo con larghe sorsate di terra, e non so più sognare. Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro… Mi ha sempre inquietato l’immagine del Signore descritto come un ladro di notte. Cerco di capire meglio: perché so che Dio non è ladro di vita. Solo pensarlo mi sembra una bestemmia. Dio viene, ma non è la morte il suo momento. Verrà, già viene, nell’ora che non immagini, cioè adesso, e ti sorprende là dove non lo aspetti, nell’abbraccio di un amico, in un bimbo che nasce, in una illuminazione improvvisa, in un brivido di gioia che ti coglie e non sai perché.
È un ladro ben strano: è incremento d’umano, accrescimento di umanità, intensificazione di vita, Natale. Tenetevi pronti perché nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’Uomo. Tenersi pronti non per evitare, ma per non mancare l’incontro, per non sbagliare l’appuntamento con un Dio che viene non come rapina ma come dono, come Incarnazione, «tenerezza di Dio caduta sulla terra come un bacio» (Benedetto Calati).

La famiglia riunita in preghiera





Domenica prossima inizia l'Avvento. Invitiamo ogni famiglia, almeno la domenica, a trovare un momento in cui possa riunirsi e pregare assieme. E' stato preparato un piccolo sussidio che si può richiedere a don Giuseppe o Padre Zè.




domenica 24 novembre 2019

COMMEMORAZIONE TERREMOTO IRPINIA

23 NOVEMBRE 2019. 39 ANNI DAL TRAGICO TERREMOTO DELL’IRPINIA
Ieri sera è stata celebrata la nostra messa comunitaria con un numeroso gruppo di Irpini residenti a Roma
Durante l'omelia dal parroco a nome loro è stata fatta la commemorazione dei defunti:

Siamo qui a Roma, noi Irpini della Capitale, a ricordare le vittime di una tragedia che sconvolse l’Italia e in particolare la nostra Provincia.
Trentanove anni fa, ore 19.34.
I tifosi erano ancora per strada esultando dopo il successo al Partenio dell’Avellino sull’Ascoli per 4-2. Era l’Avellino della Serie A con Stefano Tacconi e Juary. Era una sera calda con temperature anomale per essere novembre e il cielo rosso ricopriva l’Irpinia.
All’improvviso, un boato tremendo causato da un terremoto di magnitudo 6.9, del 10° grado sui 12 della scala Mercalli, livello classificato come “completamente distruttivo”. Una scossa interminabile di 90 secondi e poi soltanto macerie.
Lì sotto bambini che, liberi dalla scuola, giocavano felici rincorrendo un pallone per strada o giocavano a nascondino tra le viuzze della città, giovani fidanzati usciti peruna passeggiata, mamme e papà in procinto di cenare con i loro figli, uomini e donne mentre erano in chiesa alla messa della domenica sera, nonni e nonne felici di aver trascorso una giornata di festa con i propri nipoti.
Quelle tremende scosse con ipocentro a circa 10 km di profondità interessarono un’area di 17mila chilometri quadrati e colpirono la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. L’Irpinia fu distrutta, 2.914 morti, 8.848 feriti, oltre 280mila gli sfollati in ben 103 comuni della Provincia irpina.
“Fate Presto” titolava Il Mattino, due parole significative di una tragedia epocale.
 “Sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica, dove ho assistito a spettacoli che mai dimenticherò e ho constatato che non vi sono stati quei soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. Ci sono state mancanze gravi e chi ha mancato deve essere colpito”, furono queste le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini.
Le parole del Presidente raccontano ancora oggi la tragicità di quei momenti, la morte, la disperazione di chi aveva visto con i propri occhi quella catastrofe e che rivive ancora oggi in coloro che l’hanno vissuta in prima persona.
Nessuno ha dimenticato. Nessuno deve dimenticare, nemmeno chi non c’era.
Il popolo irpino, fiero come non mai, è ripartito, ha reagito, ha dato segno della forza di questa terra. Il 23 Novembre per noi ha un valore ben più alto di una semplice commemorazione o celebrazione.
Il pensiero di quel disastro, la memoria di quanto accaduto deve restare un valore e rivolgiamo un nostro pensiero, con questa preghiera, a chi ha perso la vita e ringraziamo il Signore per tutto quello che ci ha donato:

Dio Creatore,
che reggi con la tua sapienza l’armonia dell’universo, abbi pietà di noi tuoi fedeli, sconvolti dai cataclismi che scuotono le profondità della terra;
vegli a sull’incolumità delle nostre famiglie,
perché, anche nella sventura,
sentiamo su di noi la tua mano di Padre,
e, liberati dal pericolo, possiamo cantare la tua lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Magg.  Michele Melillo

sabato 23 novembre 2019

TERREMOTO IN IRPINIA





“Ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano”. Queste le parole scelte da Alberto Moravia per descrivere gli effetti devastanti del terremoto in Irpinia, una delle peggiori calamità che abbiano mai colpito il nostro Paese, di cui oggi ricorre l’anniversario numero 39.
Erano le 19 e 34 di domenica 23 novembre 1980 quando un sisma di magnitudo 6,9 (10° grado sui 12 della scala Mercalli, livello classificato come “completamente distruttivo”) colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale, con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania. La scossa durò 90 secondi, con ipocentro a circa 10 km di profondità, e interessò un’area di 17mila chilometri quadrati.
Le conseguenze furono terribili: 280mila sfollati8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti. Crolli e lesioni si registrarono fino a Napoli: a Poggioreale crollò un palazzo in via Stadera, probabilmente a causa di difetti di costruzione, causando 52 morti.
Secondo l’Ufficio del Commissario Straordinario, dei 679 comuni appartenenti alle otto aree interessate dal terremoto (Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia), ben 506 (il 74%) furono danneggiati
fonte FIRSTonline

venerdì 22 novembre 2019

CRISTO RE



Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23,35-43)
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Parola del Signore

Sta morendo, posto in alto, nudo nel vento, e lo deridono tutti: guardatelo, il re! I più scandalizzati sono i devoti osservanti: ma quale Dio è il tuo, un Dio sconfitto che ti lascia finire così? Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! E per bocca di uno dei crocifissi, con una prepotenza aggressiva, ritorna anche la sfida del diavolo nel deserto: se tu sei il figlio di Dio… (Lc 4,3).
La tentazione che il malfattore introduce è ancora più potente: se sei il Cristo, salva te stesso e noi. È la sfida, alta e definitiva, su quale Messia essere; ancora più insidiosa, ora che si aggiungono sconfitta, vergogna, strazio. Fino all’ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare: quello di un messia di potere secondo le attese di Israele, o quello di un re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22,26); se il messia dei miracoli e della onnipotenza, o quello della tenerezza mite e indomita.
C’è un secondo crocifisso però, un assassino “misericordioso”, che prova un moto compassione per il compagno di pena, e vorrebbe difenderlo in quella bolgia, pur nella sua impotenza di inchiodato alla morte, e vorrebbe proteggerlo: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, Dio è crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, Dio che naviga in questo fiume di lacrime. Che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Che mostra come il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l’amato. Lui non ha fatto nulla di male.
Che bella definizione di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, esclusivamente bene. E Gesù lo conferma fino alla fine, perdona i crocifissori, si preoccupa non di sé ma di chi gli muore accanto e che prima si era preoccupato di lui, instaurando tra i patiboli, sull’orlo della morte, un momento sublime di comunione. E il ladro misericordioso capisce e si aggrappa alla misericordia: ricordati di me quando sarai nel tuo regno.
Gesù non solo si ricorderà, ma lo porterà via con sé, se lo caricherà sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, perché sia più leggero l’ultimo tratto di strada verso casa. Oggi sarai con me in paradiso: la salvezza è un regalo, non un merito. E se il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla vita sbagliata, che però sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.
(Ermes Ronchi)

sabato 16 novembre 2019

PRIMO MAGGI


Oggi 16 novembre abbiamo dato l’ultimo saluto a PRIMO MAGGI, di 89 anni,; abitava in via Passeggiata di Ripetta, salito al cielo ieri assistito amorevolmente e con tanta dedizione dalla moglie LEDA e dai figli Manuela Bruno e Stefano.
Di lui molto serenamente i figli hanno testimoniato una grande bontà d’animo, una persona buona con la B maiuscola che ha manifestato nella onestà e rettitudine la sua parte migliore.
Una onestà che è stata di esempio per tutti.
Certo il forte amore della famiglia lo ha ricompensato. Nella sua malattia ha avuto tutti attorno  fino al momento in cui ci ha lasciato. Le ultime cose che ha potuto vedere sono stati i volti dei suoi e le mura della sua casa e questa è una cosa bella, quando ciò è possibile.
 Nel dolore ha sempre saputo avere la serenità e saper dire… oggi sto meglio.
Ciò che ha donato facciamolo nostro. La luce che ha saputo irradiare prendiamola e facciamola nostra per illuminare gli altri.                                                                       

venerdì 15 novembre 2019

DOMENICA DEL POVERO

Questa domenica è stata indicata da Papa Francesco come la giornata mondiale del povero.
Noi nel nostro piccolo da oltre due anni cerchiamo di dare sollievo, la mattina, con una abbondante colazione per le persone di strada. Cerchiamo di soddisfare circa 2000 pasti al mese. Un bell'impegno che grazie a Dio riusciamo a portare avanti con la vostra generosità e quella di alcuni commercianti del Tridente. Per questo motivo oggi e per tutta la settimana faremo una raccolta straordinaria di alimenti che possono essere portati in qualunque momento in cui la chiesa è aperta ed inoltre le buste che vedete e i soldi che verranno raccolti in questa domenica saranno tutti utilizzati per questo obiettivo.
Cosa serve per la colazione? 
brioche o crostatine impacchettate monouso, biscotti, latte a lunga conservazione, caffè, thè, zucchero in bustine, piatti, bicchieri e cucchiaini di plastica monouso, tovaglioli di carta, rotoli di Scottex; sono molto graditi dolci fatti in casa (abbiamo frigorifero per conservarli). Nel caso doveste fare una festa e dovessero avanzare dolci, tramezzini, tartine…. (in ottimo stato di conservazione), potete portare il giorno dopo verrà consumato con appetito.





giovedì 14 novembre 2019

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
 Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
 Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
 Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Parola del Signore

Dov’è la buona notizia su Dio e sull’uomo in questo Vangelo di catastrofi, in questo balenare di spade e di pianeti che cadono? Se ascoltiamo con attenzione, ci accorgiamo però di un ritmo profondo: ad ogni immagine della fine si sovrappone il germoglio della speranza. Lc 21,9: quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, non è la fine; ai vv.16-17: sarete imprigionati, traditi, uccideranno alcuni, sarete odiati, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; e ancora ai vv.25-28: vi saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle, e sulla terra angoscia e paura: ma voi risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
Ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura, dove tutto cambia, un tornante che apre l’orizzonte, la breccia della speranza: non vi spaventate, non è la fine; neanche un capello…; risollevatevi…. Al di là di profeti ingannatori, al di là di guerre e tradimenti, anche quando l’odio dovesse dilagare dovunque, ecco quella espressione struggente: Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; raddoppiata da Matteo 10,30: i capelli del vostro capo sono tutti contati, non abbiate paura. Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra.
Non c’è nessuna cosa che sia eterna. Ma l’uomo sì, è eterno. Si spegneranno le stelle prima che tu ti spenga. Saranno distrutte le pietre, ma tu ancora sarai al sicuro nel palmo della mano di Dio. Non resterà pietra su pietra delle nostre magnifiche costruzioni, ma l’uomo resterà, frammento su frammento, e nemmeno un capello andrà perduto; l’uomo resterà, nella sua interezza, dettaglio su dettaglio. Perché Dio come un innamorato ha cura di ogni dettaglio del suo amato. Ciò che deve restare scolpito nel cuore è l’ultima riga del Vangelo: risollevatevi, alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
In piedi, a testa alta, occhi liberi e luminosi: così vede noi discepoli il Vangelo. Sollevate il capo, guardate oltre: la realtà non è solo questo che si vede, viene un Liberatore, esperto di vita. Il Signore che è «delle cose l’attesa e il gemito, che viene e vive nel cuore dell’uomo» (Turoldo), sta alla porta, è qui, con le mani impigliate nel folto della vita, porta luce nel cuore dell’universo, porta il dono del coraggio, che è la virtù degli inizi e del primo passo; porta il dono della pazienza, che è la virtù di vivere l’incompiuto in noi e nel mondo.
Cadono molti punti di riferimento, nel mondo, ma si annunciano anche sentori di primavera. Questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Ogni giorno c’è un mondo che muore, ma ogni giorno c’è anche un mondo che nasce.
Padre Ermes Ronchi



giovedì 7 novembre 2019

XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO


Dal Vangelo secondo Luca
Lc 20, 27-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore

Di padre Ermes Ronchi

I sadducei si cimentano in un apologo paradossale, quello di una donna sette volte vedova e mai madre, per mettere alla berlina la fede nella risurrezione. Lo sappiamo, non è facile credere nella vita eterna. Forse perché la immaginiamo come durata anziché come intensità.
Tutti conosciamo la meraviglia della prima volta: la prima volta che abbiamo scoperto, gustato, visto, amato… poi ci si abitua. L’eternità è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre. La piccola eternità in cui i sadducei credono è la sopravvivenza del patrimonio genetico della famiglia, così importante da giustificare il passaggio di quella donna di mano in mano, come un oggetto: «si prenda la vedova… Allora la prese il secondo, e poi il terzo, e così tutti e sette».
In una ripetitività che ha qualcosa di macabro. Neppure sfiorati da un brivido di amore, riducono la carne dolorante e luminosa, che è icona di Dio, a una cosa da adoperare per i propri fini. «Gesù rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell’uomo ma l’eternità stessa di Dio» (M. Marcolini). Che cosa significa infatti la «vita eterna» se non la stessa «vita dell’Eterno»? Ed ecco: «poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio», vivono cioè la sua vita. Alla domanda banale dei sadducei (di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?) Gesù contrappone un intero mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito. Gesù non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore.
Anzi, l’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è l’amore (1 Cor 13,8). I risorti non prendono moglie o marito, e tuttavia vivono la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio. I risorti saranno come angeli. Come le creature evanescenti, incorporee e asessuate del nostro immaginario? O non piuttosto, biblicamente, annuncio di Dio (Gabriele), forza di Dio (Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia (Mt 18,10)?
Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi. In questa preposizione «di», ripetuta cinque volte, in questa sillaba breve come un respiro, è inscritto il nodo indissolubile tra noi e Dio. Così totale è il legame reciproco che Gesù non può pronunciare il nome di Dio senza pronunciare anche quello di coloro che Egli ama. Il Dio che inonda di vita anche le vie della morte ha così bisogno dei suoi figli da ritenerli parte fondamentale del suo nome, di se stesso: «sei un Dio che vivi di noi» (Turoldo).

mercoledì 6 novembre 2019

Messa del Papa a San Giovannila


Il Papa celebra la Messa per le equipe pastorali
Sabato 9 novembre alle 17.30 a San Giovanni, nella solennità della dedicazione della basilica lateranense. Nuovi ambone, crocifisso, preghiere

lunedì 4 novembre 2019

Iniziativa Centro Storico

con il nostro vescovo Mons. Daniele Libanori, abbiamo pensato di proporre dei momenti di riflessione sul tema diocesano dell'Ascolto del grido... conversando con  coloro che possano dirci qualcosa che stimoli la nostra riflessione.
Il primo di questi incontri per il Centro Storico di Roma, ma aperto a tutti coloro che vorranno intervenire, sarà mercoledì 27 novembre alle ore 18.30 San Salvatore in Lauro (via dei coronari) con la presenza del giornalista il dott. Gianni Minoli, Mons. Carmelo Pellegrino, biblista e Don Francesco Cosentino, teologo.
Vi alleghiamo la locandina sperando che possa trovare il vostro interesse.


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sabato 2 novembre 2019

2 NOVEMBRE PREGHIERE DEFUNTI




«Non ti chiediamo, Signore
di risuscitare i nostri morti,
ti chiediamo di capire la loro morte
e di credere che tu sei il Risorto:
questo ci basti per sapere
che, pure se morti, viviamo
e che non soggiaceremo
alla morte per sempre. Amen».
Turoldo

«Un giorno dopo l’altro,
o Signore della mia vita,
starò davanti a te a faccia a faccia.
A mani giunte,
o signore di tutti i mondi,
starò davanti a te a faccia a faccia.
Sotto il grande cielo
in solitudine e silenzio,
con cuore umile
starò davanti a te a faccia a faccia.
In questo tuo mondo operoso,
nel tumulto del lavoro e della lotta,
tra la folla che s’affretta,
starò davanti a te a faccia a faccia.
E quando il mio lavoro in questo mondo
sarà compiuto, o Re dei re,
solo e senza parole,
starò davanti a te a faccia a faccia».
Tagore

«Signore Dio,
non possiamo sperare per gli altri
più di quanto si desidera per se stessi.
Per questo io ti supplico: non separarmi
dopo la morte
da coloro che ho così teneramente amato sulla terra.
Fà o Signore, ti supplico
che là dove sono io gli altri si trovino con me,
affinché lassù possa rallegrarmi della loro presenza,
dato che ne fui così presto privato sulla terra.
Ti imploro Dio sovrano,
affrettati ad accogliere
questi figli diletti nel seno della vita.
Al posto della loro vita terrena così breve,
concedi loro di possedere la felicità eterna».
Sant'Ambrogio