Santiago (ballata ingenua)
di Giovanni Mascia
Vincenzo Colledanchise e Giovanni Grosso sono partiti i primi giorni di settembre per Santiago de Compostela. Certo non hanno affrontato l’intero tragitto a piedi, come si faceva nei secoli passati (sarebbero occorsi mesi); ma lasciato l’autobus a qualche centinaia di chilometri di distanza dal celeberrimo santuario spagnolo, lo hanno raggiunto comunque a piedi, rispettando la tradizione, dopo alcuni giorni di cammino.
Idealmente mi sono immaginatoo insieme a loro. E allora mi è piaciuto tradurre una ballata di Federico Garcia Lorca, dedicata proprio a Santiago, ovvero a San Giacomo Maggiore, l’apostolo, al venerato Santiago Matamoros degli spagnoli, al Santo che con i suoi ripetuti, miracolosi interventi nella lotta contro i Mori, favorì la sconfitta degli Arabi e impedì loro la conquista della Spagna e quindi dell’Europa cristiana.
La ballata spagnola è molto bella e, direi, universale. Ogni popolo ha il suo Santiago. Ogni più sperduto villaggio ha leggende simili.
Una ultima annotazione, la notte di Santiago, è la notte che precede la festa del 25 luglio. In piena estate. La fantasia popolare identificava il celeste cammino del santo guerriero con la Via Lattea, detta appunto il "Cammino di Santiago". Ma purtroppo lo spettacolo incomparabile del cielo stellato che è alla base della credenza e della lirica lorchiana è sempre più difficile da godere nei nostri tempi e rimane sostanzialmente sconosciuto alle nuove generazioni.
SANTIAGO
(Ballata ingenua)
I
Questa notte è passato Santiago
su un sentiero di luce nel cielo.
Lo raccontano i bimbi giocando
sulle rive del fiume sereno.
Dove va il pellegrino celeste
per il chiaro infinito sentiero?
Verso l’alba che brilla là in fondo
su un cavallo di candido gelo.
Bimbi, bimbi, cantate nel prato
con le risa che fendono il vento!
Dice un uomo che ha visto Santiago
capeggiare duecento guerrieri
in cammino, coperti di luce,
con azzurre ghirlande di stelle,
e il cavallo che monta Santiago
era un astro d’intenso splendore.
Dice l’uomo che narra la Storia
che s’udì nella notte assopita
il fruscio argentino delle ali
che il silenzio portò via sulle onde.
Chi sbarrò la pïena del fiume?
Erano angeli quei cavalieri.
Bimbi, bimbi, cantate nel prato
con le risa che fendono il vento!
Era notte di luna calante.
Ascoltate! Si sente nel cielo
che rinforzano i grilli le corde
mentre abbaiano i cani randagi.
“Nonna, nonna, dov’è quel sentiero?
Nonna, nonna, perché non lo vedo?”.
“Guarda bene e vedrai una cinta
di farina, di polvere spessa,
una macchia che sembra d’argento,
madreperla… La vedi?”. “La vedo!”.
“Nonna, nonna, e dov’è Santïago?”.
“Ma cavalca lassù col corteo,
con la testa adornata di piume
e di perle finissime il corpo,
con la luna prostrata ai suoi piedi,
con il sole nascosto nel petto”.
Nella piana stanotte riecheggia
il racconto intessuto di nebbia.
Bimbi, bimbi, cantate nel prato
con le risa che fendono il vento!
II
Una povera vecchia che vive
nella parte più alta del paese
e possiede una rocca fuori uso,
una Vergine e due gatti neri,
mentre cuce la rozza calzetta
con le dita risecche e tremanti,
circondata da buone comari
e da bimbi sporchi e birichini,
nella pace della notte quieta
(le montagne perdute nel buio),
con tranquille parole racconta
la visione che un tempo le apparve.
Ella vide, una notte lontana,
così senza rumore né vento,
in persona l’apostolo santo,
pellegrino nei campi del cielo.
“E comare, com’era vestito?”
le domandano insieme due voci.
“Con bordone di perle e smeraldi ,
con la veste di fine velluto.
Quando fu qui davanti alla porta
le colombe distesero le ali
mentre il cane che stava dormendo
gli andò dietro, leccandogli i piedi.
Era dolce l’apostolo santo,
ancor più della luna a gennaio.
Il suo passo lasciò sul sentiero
un odore di giglio e d’incenso”.
“E comare, non ti disse niente?”
le domandano insieme due voci.
“Mi guardò sorridendo, passando,
e una stella mi diede qui dentro”.
“Quella stella dove la conservi?”
le domanda uno dei birichini.
“E si è spenta?” domandano gli altri
“come cosa di un sortilegio?”.
“Figli miei, la stella risplende,
la conservo ben chiusa nel cuore”.
“Come sono le stelle qui in terra?”.
“Figlio mio, così come in cielo”.
“Su continua, su, vecchia comare.
Dove andava il glorioso viandante?”.
“Si è perduto per quelle montagne
con le bianche colombe e il cane,
però piena lasciò la mia casa
di garofani e di gelsomini;
maturarono i grappoli verdi
della pergola e il mio granaio
trovai pieno il mattino seguente.
Tutto grazie all’apostolo buono”.
“Che fortuna che avesti, comare!”
si rallegrano insieme due voci.
I bambini son già addormentati,
nel silenzio sprofondano i campi.
Bimbi, bimbi, pensate a Santiago
per le strade nebbiose del sogno!
Notte limpida di fine luglio!
È passato Santiago nel cielo!
La tristezza dell’anima mia
lungo il bianco cammino la lascio
per veder se la incontrano i bimbi
e la immergono a fondo nell’acqua,
per veder nella notte stellata
se lontana la portano i venti.
25 luglio 1918, Fuente Vacqueros, Granada
(dal Libro de poemas, di Federico Garzia Lorca 1898-1936)
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